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Maria Pierantoni Giua PIOVESSE SEMPRE COSÌ
2019 - Egea Music
È tornata, e possiamo dire che ne avevamo tutti bisogno: in uno scenario femminile italiano, che spesso rivela qualche lacuna, sospeso com'è fra l'eredità scomoda, perché ineguagliabile, delle grandi signore e le svendite pop di ugole pur valide, Giua costruisce, disco dopo disco, spettacolo dopo spettacolo, un percorso coerente, ricco di spunti, sempre all'insegna della qualità della scrittura e della resa musicale.
Così, dalle esperienze teatrali, l'ultima delle quali col Teatro dell’Archivolto e il Teatro Stabile di Genova, per lo spettacolo Quello che non ho su De André, con Neri Marcoré, la cantautrice deriva una forza espressiva ricca di verve, come nel brano citato, caustica descrizione di certo universo femminile, nevrotico e superficiale, oppure in Macchina improbabile, fuga alla Thelma e Louise, che si rivela dipinto infallibile dei sognatori destinati allo scacco esistenziale, o ancora la rockeggiante e arrabbiata Non abbastanza, o infine la cabarettistica, gaberiana Cosa penserà la gente, in cui la sua voce rivaleggia con quella di Lisa Galantini in acredine e sarcasmo.
E dai ripetuti ascolti dei brani più raccolti dei grandi cantautori, non solo italiani, Giua ha saputo estrarre una cifra personale, coadiuvata in questo da una produzione attenta e precisa, di Paolo Silvestri, e da musicisti di tutto rispetto: dagli intrecci chitarristici di Pietro Guarracino e Vieri Sturlini , dalla ritmica di Rodolfo Cervetto al basso di Pietro Martinelli, fino al violoncello di Jaques Morelenbaum, gemma preziosa in Senza dire o in Argilla. Si ascolti, ad esempio, l'intera struttura musicale dell'autobiografica Col naso all'insù, in miracoloso equilibrio fra suoni e parole; la lirica e struggente Più lontano di così, sorretta da un coro sorprendente, oppure Uragano, scritta col fuoriclasse Zibba, dagli echi alla Silvio Rodriguez, con il pathos giusto per una classica e moderna canzone d'amore.
Il Sudamerica torna anche nella splendida Aprile, che rievoca al proprio interno il verso che dà il titolo all'album, e loda la vita che cambia, e ti fa sobbalzare, e spaventa; un inno alla pioggia che lava via la paura, i rimpianti, le esistenze impregnate di cose da fare, per invitare tutti a sdraiarsi e ascoltare se stessi, la vita e un violoncello dal suono aereo, che ci proietta in un'atmosfera sospesa e incantata.
È tornata Giua; e la aspettiamo in concerto, presto.