Marco Guazzone & Stag L'atlante dei pensieri
2012 - Sunny Bit/Self
Si arriva al primo pezzo in italiano con Sabato simpatico un perfetto swing che comincia a scaldare i motori con il suo andamento adagio/lento, adagio con brio. L’intento chiaro è quello di ribadire, sin dai primi passi, le basi classiche e orchestrali dell’intero lavoro. Ed ecco il colpo di scena! Da qui in avanti si avrà spesso la sensazione di avere uno strano “effetto di ritorno”, come se entrasse in cuffia un’interferenza fonica del tutto estranea e le cui sembianze ricordano molto da vicino il suono dei Muse. Chitarre che si scatenano in giri roboanti e tirati, alternati a ninne nanne in carillon tipico marchio di fabbrica delle band di Matthew Bellamy. La dicotomia però a volte appare parecchio spiazzante, se non fosse che l’intero lavoro ne guadagna in eclettismo e modernità. Tanto più che il singolo da classifica Guasto, quello che rimane nella testa e trascina tutto il disco, è un chiaro omaggio alle sonorità della band britannica. Un brano perfetto nella sua semplicità impreziosito dall’accompagnamento di un pianoforte.
Rimane tuttavia impossibile tracciare una sintesi di questo lavoro, come dice con fare anticipatore il titolo stesso dell’album. Addirittura si arriva a un certo punto a toccare i confini della club dance più fragorosa e rumorosa. Davvero troppo, anche se per certi versi divertente. Alla fine le tracce più convincenti appaiono quelle che più appartengono alla band per formazione, fiabe in cui emergono tutta l’epica del linguaggio e il manierismo stilistico di una composizione pura e cristallina. Insomma continuare a percorrere quel solco tracciato con diverse sensibilità dai vari Paolo Nutini, Cesare Cremonini e Raphael Gualazzi rimane la scelta obbligata e più naturale per valorizzare le potenzialità intraviste qua e là, ma nitide sullo sfondo. Nota particolare per Oramai un pezzo che farebbe invidia a Jeff Buckley e La mia orchestra dove, con l’entrata negli arrangiamenti di un collettivo di ottoni, emergono gli echi di un ormai lontano Illinois di Sufjan Stevens.
Il risultato finale lascia nell’ascoltatore una sensazione di ricchezza abbozzata e la convinzione che per Marco e soci sia giunto il momento di camminare da soli. Abbandonare certi cliché, che danno sicurezza, per intraprendere un passo deciso. Il citazionismo d’autore diventerà così solo un optional. In questi casi vale la pena ascoltare più dentro che fuori di sé. Il talento non ha bisogno d’ispirazione.