Lizzy McAlpine Older
2024 - Rca
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Così è proprio nel momento in cui gli arrangiamenti si fanno via via più frugali che allora, finalmente, si apre lo spazio per far emergere tutta la qualità di un songwriting intimo e timido ma, al contempo, confidenzialmente familiare, la cui brillantezza tradisce un’innata vocazione all’essenziale.
Con canzoni del genere a disposizione, in più sorrette da una voce che le interpreta con concreta sincerità, davvero non serve molto altro e qualsiasi pur sottilissimo velo di abbellimento, interposto tra l’autore ed il suo pubblico, corre il rischio di sottrarre qualcosa invece di aggiungerla.
Il vocabolario della McAlpine funziona proprio perché, anche (e soprattutto) quando è sorretto da una grammatica nuda ed essenziale, si dimostra capace di trasformare in esperienza collettiva una semplice conversazione interiore strappata, con compiaciuto imbarazzo, all’inchiostro, ancora fresco, delle pagine di un diario.
Se The Elevator, instillando mezza lacrima di dispiacere, viene immolata sull’altare della concisione, allo scopo di introdurre il contagioso incedere della successiva Come Down Soon, è difficile rassegnarsi invece alla brevità di Movie Star che va a concludersi prematuramente, dopo aver fatto bella mostra di tutte le sue ottime premesse.
Ripetuti ascolti, indotti dalla vana attesa di un impossibile finale alternativo, rafforzano solo il rammarico per un’eccentrica scelta artistica che, stretta tra il desiderio di farsi notare e l’istinto a restare in disparte dell’autrice, spreca così un’ottima intuizione. Drunk, Running fotografa la dimensione ideale per la musica della McAlpine, mostrando minuziosamente le proporzioni massime oltre la quali la sua identità correrebbe il rischio di smarrirsi.
Spetta invece alla title track il compito di segnare l’apice espressivo dell’intera raccolta, alla quale riesce a portare in dote un’intensità pop eguagliata, di recente, solo dalla Billie Eilish di What Was I Made For.
Sospeso tra realtà e fantasia, l’asciutto indie-folk della cantautrice di Philadelphia è una delle più compiute rappresentazioni contemporanee di un pop agrodolce e dal nobile lignaggio, che, senza l’ardire di reinventare a tutti i costi la ruota e schivando le insidie dei più abusati cliché, trae ispirazione dal passato, per raccontare il microcosmo di un intimo presente.
Older investe un enorme capitale di classe, indubbiamente destinato a crescere esponenzialmente nei prossimi anni, ma la sua vera forza è nascosta nell’umiltà del gesto col quale elargisce la sua introversa bellezza.