Livio Bartolo Otium
2023 - Angapp
È il caso di Otium, un lavoro di Livio Bartolo, giovane chitarrista e compositore pugliese già ospite della testata con il bellissimo Start from scratch (2023), realizzato con il suo progetto Variable Unit.
Qui Bartolo è accompagnato da Pietro Corbascio (tromba), Aldo Davide Di Caterino (flauto in do, flauto contralto in sol), Andrea Campanella (clarinetto basso) e Mariasole De Pascali (flauto in do) per un ensemble tipicamente cameristico, a bassa incidenza ritmica specifica e molto predisposto a intrecci dalle radici classiche.
Già la struttura della scaletta lascia intuire un approccio strutturato, quasi una metasonata, con un primo gruppo di tre brani concepiti in tempi lenti, modalità tra passacaglia e altre danze (non assenti tempi dispari), adozioni di canoni in contrappunto o all’unisono. Un elastico tra il barocco e il classico, innervato da scelte intervallari tutte contemporanee, senza evitare trame minimaliste e seriali.
A queste prime tre pagine ne seguono altrettante, non a caso denominate Ricomposizioni, in cui l’andamento è più libero, fluido, rilassato, fino ad arrivare a un’impressione di scherzo (terza ricomposizione, forse la più vicina a un mood jazzato) sostenuta dal timbro percussivo sulla cassa della chitarra.
Infine, la parte C della cosiddetta metasonata (definizione del tutto soggettiva – nda) rende in modo esplicito omaggio al titolo del lavoro. Otium inteso nell’accezione latina, come precisa lo stesso artista nelle linee presentative del disco. È pur vero che anche in questo senso i significati potrebbero essere molteplici, viste le diverse visioni che dell’ozio avevano gli antichi pensatori; a fattore comune, in ogni modo sussisteva il concetto di libertà dagli impegni pubblici, con la possibilità di dedicarsi agli interessi e alle attitudini personali.
Ne deriva quindi un’ovvia opportunità di relax, nel senso di benessere fisico/mentale con se stessi, e di assenza di pressioni da incombenze imposte; ma comunque di attività.
Gli ultimi cinque brani rappresentano perfettamente questa idea, espressa volta per volta da un membro del gruppo, ciascuno enfatizzando anche aspetti timbrici non proprio scontati del suo strumento; anche in questo caso emergono attitudini jazz, sia per la valutazione dei solisti, sia per qualche passaggio improvvisato.
Il clarinetto lavora su toni alti e su trame oscillanti, abbandonando quel senso inerziale tipico del suo baricentro sonico e generando una sensazione di distesa vivacità. La tromba percorre un ampio spettro e si lancia in fraseggi dinamici alternati a passaggi molto lenti; esemplare nel riprendere il messaggio del titolo. La chitarra, tra accordi ed arpeggi, mantiene una certa riflessiva corposità.
Da sottolineare il pezzo conclusivo al flauto; su note lunghissime, silenzi equivalenti ai suoni, giocato su poche altezze, forse il più espressivo, data l’evoluzione dinamica, e poi il relax finale.
Un disco in cui la visione compositiva risalta in tutta la sua sapienza e originalità. Encomiabilmente breve (meno di 30’) favorisce un ascolto continuo e concentrato, come una bevanda di classe da assaporarsi a piccoli sorsi e in dosi controllate, per gustarne tutte le sfumature.