Lance Canales & The Flood The Blessing And The Curse
2015 - Music Road Records / IRD
#Lance Canales & The Flood#Americana#Roots #Jimmy LaFave #Woody Guthrie #Deeportees #Joel Rafael #Eliza Gilkyson #Ray Bonneville
Si potrebbe definire così questo The Blessing and The Curse, terzo prodotto della discografia di Lance Canales e dei suoi Flood (ovvero Daniel Burt alla batteria e alle percussioni e Jake Finny al contrabasso, benché nel disco sia presente, al suo posto, Andrew Pressman), pubblicato dalla Music Road Records, etichetta di proprietà di Jimmy LaFave e distribuito in Italia da IRD.
Il disco si avvale della produzione dello stesso LaFave – anche ospite alla chitarra e alle voci in alcuni brani – in evidente stato di grazia, come attestato dalle sue due recenti uscite discografiche: il nuovo album di studio The Night Tribe (un serio contendente al titolo di album dell’anno, e forse non solo per la categoria “Americana”) e il quarto capitolo della saga live di Trail.
Blues rurale, folk, un costante riferimento alla tradizione del miglior songwriting americano, che parte da Woody Guthrie, esplicitamente citato, ed arriva a Tom Waits, al cui cantato rimanda, almeno in alcuni passaggi, la voce di Lance Canales: questa la ricetta utilizzata per ottenere i tredici pezzi che compongono l’album o, meglio, gli undici a firma dello stesso Canales, tre dei quali in collaborazione la moglie Samantha, a cui vanno poi ad aggiungersi due covers.
A caratterizzare i brani un suono scarno, ridotto all’essenziale, su cui si staglia la voce di Lance Canales, dal timbro assai particolare che la rende immediatamente riconoscibile, andando a costituire il vero e proprio marchio di fabbrica della band.
Un sound che non rifugge però le accelerazioni, come attestano la sferragliante California or Bust posta in apertura del disco, Special Made o, in chiusura, Stomp It Out costruita su un ritmo trascinante e su un gioco di call and response tra la voce di Lance Canales e quella del coro.
Piace in particolare Pearl Handled Gun con il suo incedere quasi marziale, mentre Weary Feet Blues e ancor più Sing No More rimandano ai più classici stilemi del blues e si adagiano su melodie decisamente più malinconiche.
Non avrebbe certo sfigurato nel repertorio dei Blasters dei fratelli Alvin The Farmer, mentre la sequenza di accordi iniziale di Old Red dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, la presenza di Neil Young tra le fonti di ispirazione di Lance Canales.
Una manciata di canzoni che certificano il talento e la versatilità come autore dello stesso Canales e disegnano un panorama sonoro che appare come il perfetto complemento ai luoghi geografici che fungono da sfondo delle vicende narrate: un vero peccato l’assenza nel CD dei testi delle canzoni.
Da segnalare inoltre la presenza in qualità di ospiti in alcuni brani di Ray Bonneville e di un altro eroe della frontiera come Joel Rafael.
Vero e proprio valore aggiunto, le due covers a cui si accennava già in precedenza, partendo da Death Don’t Have No Mercy standard blues proveniente dal repertorio del Rev. Gary Davis, qui in una versione lunga e dilatata in duetto con Eliza Gilkyson.
Merita decisamente qualche parola in più, la versione – in qualche modo definitiva – di Deportees (Plane Wreck at Los Gatos), tra le più conosciute composizioni di Woody Guthrie (quantomeno, per ciò che riguarda il testo: la musica venne aggiunta ad una decina d’anni di distanza da uno misconosciuto insegnante di New York – Martin Hoffman – con Guthrie già costretto all’invalidità dalla malattia, la Corea di Huntington, che aveva colpito il suo sistema nervoso).
Un testo scritto di getto dallo stesso Guthrie sdegnato per aver ascoltato alla radio la notizia di un incidente aereo avvenuto in California, in cui erano rimasti uccisi – oltre ai quattro membri dell’equipaggio – ventotto lavoratori agricoli stagionali messicani, identificati unicamente come “deportees” (sostituite “extracomunitari” e pensate alle cronache giornalistiche delle tante, troppe tragedie legate ai fenomeni migratori e vi renderete conto di quanto attuali suonino, ancora oggi, le parole di Woody Guthrie).
Una tragedia avvenuta nel gennaio del 1948: solo alcuni anni orsono lo scrittore Tim Z. Hernandez - originario dell’area in cui precipitò l’aereo all’interno della Fresno County, in California - dopo una lunga ricerca è riuscito a ritrovare i nomi delle vittime del disastro aereo, poi scolpiti nella pietra di un nuovo monumento commemorativo eretto sul luogo dell’incidente.
Lance Canales, figlio egli stesso di braccianti agricoli stagionali costretti a migrare costantemente alla ricerca di lavoro, collaborò alla ricerca, realizzando la versione qui inclusa di Deportees, incisa inizialmente su un singolo venduto per raccogliere i fondi necessari alla realizzazione del nuovo monumento.
Una versione, si diceva, in qualche modo definitiva e particolarmente commovente, con lo stesso Tim Z. Hernandez che recita in sottofondo i nomi delle vittime.
Ad oltre sessantacinque anni dalla loro morte, quei ventotto uomini e donne messicani periti nell’incidente di Los Gatos non sono più solo “deportees”.