Kate NV WOW
2023 - RVNG Intl.
#Kate NV#Elettronica#Elettropop #city pop #Kate NV #RVNG Intl.
queste stesse pagine (che vedrà poi la luce pochi mesi più tardi). Al solito complessi e laboriosamente ricercati, gli album dell’artista nativa di Kazan, al secolo Ekaterina Jur'evna Šilonosova, ripagano e appagano in coda a diversi ascolti, necessario esercizio volto a far decantare, metabolizzare e decodificare un impianto complesso e ricco di contorte sfumature.
WOW, come i tre precedenti rilasci dell’eclettica visual artist, conferma il profondo legame con la RVNG Intl., prolifica e mai banale etichetta di Brooklyn sempre attenta al lancio di sofisticate uscite di primissima scelta (basti pensare, fra le altre produzioni, al più volte trattato minimalismo sperimentale di Lucrecia Dalt, moderna istituzione di ingegnose connessioni esotiche).
Sin dalla traccia numero uno (oltre che primo singolo estratto) avanza spedita l’idea di un tacito ammiccamento a sonorità city pop: da quelle pregne di irrequietezza sintetica care al buon Cornelius, fino al risvolto più sballato e indecifrabile, misto a citazioni schizofreniche e cerebrali, sintomatiche avvisaglie dal gusto nipponico, nonché stravagante fisiognomica farcita con bassi slap (D D Don’t e Early Bird, in compagnia della opening track) e fretless (Confessions at the Dinner Table).
Tanto è il materiale a disposizione che già ci starebbe un primo bilancio; consapevoli però, a far la tara di tutto, che ancora molto non si è detto. Di quell’avant-pop cameristico, ad esempio, in seno agli asciuttissimi suoni del blocco compositivo (che salta a piè pari ogni tentativo di approccio a elaborazioni riverberate). Ancora: rumori sordi e indistinti, rimbalzi di vocine tra il serio e il faceto, diamoniche, flauti, organetti, filastrocche in stile rococò che ostentano avviluppi fra allegoria e goliardia (un passaggio qui va suffragato, in omaggio al mai abbastanza quotato collettivo Architecture In Helsinki…).
Quasi al giro di boa va registrata la nenia di Nochoi Zvonok, il cui primigenio blitz di carillon attiva sinapsi in zona Katharsis (brano Pieczęć), straordinario concept del compositore polacco CzesÅ‚aw Niemen, datato 1976. Dallo stesso attingerebbe a piene mani, se non altro per l’uso svirgolato di drumming, organi e beats; salvo poi, obtorto collo, non piegarsi del tutto alle acclarate lusinghe, imponendo il richiamo all’ordine dell’istrionica parata dai toni inediti (in luogo di una pur vivida esegesi lambita da flashback).
Rimesso il mezzo in carreggiata, prosegue intonso l’espressivo zigzagare, e bracca impulsi a tutto spiano: per un verso scaglia, in retrospettiva, imponenti dardi avanguardistici (a suo tempo issati da Laurie Anderson); per l’altro irrompe con moderni bizzarrie (per intendersi, le strambe spirali catalizzatrici dei newyorkesi P.E.).
WOW si eclissa infine (convenendo a princìpi propri nell’apparenza aridi ma in sostanza vivi, vegeti e vibranti) fra le gaie braccia di un videogioco (Meow Chat), qual simposio dei sensi a mezz’aria, fra realtà e virtuale. Mai così urgente, mai così necessario.
Quando Kate NV tira fuori dal cilindro WOW, si è ancora nel pieno delle attese per Ticket To Fame, disco in coabitazione con Angel Deradoorian, già documentato su WOW, come i tre precedenti rilasci dell’eclettica visual artist, conferma il profondo legame con la RVNG Intl., prolifica e mai banale etichetta di Brooklyn sempre attenta al lancio di sofisticate uscite di primissima scelta (basti pensare, fra le altre produzioni, al più volte trattato minimalismo sperimentale di Lucrecia Dalt, moderna istituzione di ingegnose connessioni esotiche).
Sin dalla traccia numero uno (oltre che primo singolo estratto) avanza spedita l’idea di un tacito ammiccamento a sonorità city pop: da quelle pregne di irrequietezza sintetica care al buon Cornelius, fino al risvolto più sballato e indecifrabile, misto a citazioni schizofreniche e cerebrali, sintomatiche avvisaglie dal gusto nipponico, nonché stravagante fisiognomica farcita con bassi slap (D D Don’t e Early Bird, in compagnia della opening track) e fretless (Confessions at the Dinner Table).
Tanto è il materiale a disposizione che già ci starebbe un primo bilancio; consapevoli però, a far la tara di tutto, che ancora molto non si è detto. Di quell’avant-pop cameristico, ad esempio, in seno agli asciuttissimi suoni del blocco compositivo (che salta a piè pari ogni tentativo di approccio a elaborazioni riverberate). Ancora: rumori sordi e indistinti, rimbalzi di vocine tra il serio e il faceto, diamoniche, flauti, organetti, filastrocche in stile rococò che ostentano avviluppi fra allegoria e goliardia (un passaggio qui va suffragato, in omaggio al mai abbastanza quotato collettivo Architecture In Helsinki…).
Quasi al giro di boa va registrata la nenia di Nochoi Zvonok, il cui primigenio blitz di carillon attiva sinapsi in zona Katharsis (brano Pieczęć), straordinario concept del compositore polacco CzesÅ‚aw Niemen, datato 1976. Dallo stesso attingerebbe a piene mani, se non altro per l’uso svirgolato di drumming, organi e beats; salvo poi, obtorto collo, non piegarsi del tutto alle acclarate lusinghe, imponendo il richiamo all’ordine dell’istrionica parata dai toni inediti (in luogo di una pur vivida esegesi lambita da flashback).
Rimesso il mezzo in carreggiata, prosegue intonso l’espressivo zigzagare, e bracca impulsi a tutto spiano: per un verso scaglia, in retrospettiva, imponenti dardi avanguardistici (a suo tempo issati da Laurie Anderson); per l’altro irrompe con moderni bizzarrie (per intendersi, le strambe spirali catalizzatrici dei newyorkesi P.E.).
WOW si eclissa infine (convenendo a princìpi propri nell’apparenza aridi ma in sostanza vivi, vegeti e vibranti) fra le gaie braccia di un videogioco (Meow Chat), qual simposio dei sensi a mezz’aria, fra realtà e virtuale. Mai così urgente, mai così necessario.