Se siete frequentatori di iTunes l´avrete sicuramente incontrato in quanto si è aggiudicato il titolo di migliore disco folk in questo 2009 appena trascorso (per cui ha prodotto più di 150.000 down-load): si chiama Joshua James, si presenta al suo pubblico con il secondo disco come una bomba atomica tra i numerosi rappresentanti del genere neo-traditional americano. Forse il difetto di questo artista è che ne ricorda troppi, e tutti allo stesso tempo: ascoltando Build me this sembra di assistere ad una fusione sonora che parla la stessa lingua musicale, in cui alternative country, blues e american roots abbiano fornicato all´apice di una grossa e sonora sbronza collettiva.
Nel ragazzo dello Utah si percepiscono diversi sentori di stili cangianti, ad ogni brano il nostro cantautore indossa un abito diverso, e tutti con il medesimo portamento, sia esso innovativo - non a caso in più di un occasione si potrebbe scambiare l’autore nell´ennesimo fenomeno Britght Eyes - che classico come ad imitare le geste rivoluzionarie di gente che ha fatto la storia del genere.
I brani raccontano tutto della musica e del vissuto di Joshua e i particolari ne illustrano la trama: sul finale di ´Magazine´ i drammi della separazione tracciati dal violino, il nerbo elettrico che esce fuori dalla più profonda rabbia del blues, il romanticismo del folk sembrano trovare un equilibrio eccezionale tra melodia e tecnica strumentale, mentre nell’acustica ´Weeds´ emerge la sua tipica caratteristica vocale, profonda, espressiva e in un certo senso volutamente ´rovinosa´ come ad evocare gli spiriti dei suoi maestri di vita; fantasmi e santi di tempi andati che scorrazzano vivi intorno a lui e che lo ispirano costantemente.
L´anima elettrica non si fa attendere, esce allo scoperto come a tracciare un confine tra l’intimismo del suo songwriting - che campeggia nelle ballate più flebili ed introspettive - e la rabbia giovanile: con ´Mother Mary´ il tracciato del suo credo spirituale si fa più ruvido ed elettrico, canzoni come questa sembrano raccogliere tutta la forza del rock a stelle strisce e all’unisono una spiritualità religiosa sorprendente. Potenza e stile si fondono come ad un concerto dei Wilco, le chitarre più sporche e la limpidezza di arrangiamenti si incontrano, specie tra organo-piano-steel, per poi lasciare campo al fluido delle steel guitar. Le melodie costruiscono una fortezza sonora davvero interessante. ´Black July´ segue questa strada maestra, ed è insuperabile in termine di eleganza: di questo blues in chiaroscuro melodico, mistico, melodrammatico e potente è spinto con forza all´eccesso; forse l´esperimento più riuscito di Joshua.
La caratteristica del tipico country - storytelling non è affatto dimenticata, tristezza, nostalgia e romanticismo non sono stati accantonati: molto bello il crescere agreste nel motivo di ´Wilted Daises´, o la semplicità e la carica emotiva con cui il nostro descrive tutto passo dopo passo quello che vede incontra e sente.
Build me this si chiude e si apre con un’intensa spiritualità e ricerca di Dio e la sfarzosa preghiera di ´Benediction´ rilancia l’idea di una risurrezione melodica lanciata in apertura dal purismo gospel di ´Coal War´.