John Parish Once upon a little time
2005 - MESCAL / SONY BMG
Il suo contributo era ed è riconoscibile in parecchi dischi tra cui anche qualcuno dei 16 Horsepower e degli Sparklehorse: era logico pensare ad un suono tutto suo, seppure non ancora accreditato come autore e sviluppato più marginalmente.
Ora quel musicista ha pubblicato un disco a suo nome che si intitola “Once upon a little time”, ovvero “C’era una piccola volta”: ad ascoltarlo sembra infatti che tutto ciò che John Parish ha fatto in precedenza sia piccolo, sia una porzione di quella forma che trova ora il suo compimento. Lui lo descrive come un album “epico ed intimo”, il che è esatto perché queste canzoni portano a maturazione un suono ed un percorso personali.
“Once upon a little time” è infatti una raccolta tanto minuta quanto sostanziosa.
Come in una favola il cd è nato in Italia, dove ultimamente Parish ha trovato altro terreno fertile da coltivare a suo modo (si vedano gli ultimi lavori di Cesare Basile, Nada e Afterhours). È stato registrato in parte a Nave (BS), negli studi di Marco Tagliola, e in parte a Bristol e a Copenhagen; la band è costituita dalle “nostre” Marta Collica (tastiere), Giorgia Poli (basso) e da Jean-Marc Butty alla batteria, a cui si sono aggiunti anche Adrian Utley (Portishead), Jeremy Hogg (PJ Harvey) e i “nostri” Hugo Race, Roberta Castoldi, Giovanni Ferrario ed Enrico Gabrielli.
Grazie all’apporto di questi colleghi amici, Parish riesce finalmente a sviluppare nel modo più equilibrato possibile i due lati del suo carattere artistico, quello più stralunato, evidente nelle ballate, e quello più intenso e distorto, che emerge in alcuni pezzi più tesi.
Nel suo insieme il lavoro suona americano e alternativo, o meglio ricercato, ma è nei particolari che si rivela la sua identità: la principale carratteristica è infatti il modo in cui ogni singola nota è dosata da ogni strumento. Questo traspare negli spigoli di “Boxers”, marcati da slide e lap steel, nei due strumentali “Water road” e “Stranded” e in “The last thing I heard her say”, una ballata che rimane spoglia nonostante sia strusciata dal piano, dalla batteria e da interventi di violoncello e clarinetto.
John Parish ha una sua visione della realtà, molto pudica, quasi un folk-blues in versione lo-fi, che prende forma attorno ad un filo di musica anche nei pezzi più marcati come “Somebody else” o “Glade park”.
“Once upon a little time” mette definitivamente a fuoco la sua personalità e si insinua sotto pelle per rimanervi e farsi ricordare.