Quando si muovono i pezzi da novanta, specie quelli come John Fogerty, universalmente riconosciuto da quattro decadi come un maestro nell´alveo della musica americana, si deve approcciare il nuovo lavoro con circospezione, giacché il rapporto di sudditanza mentale e di reverenza, che si cela dietro l’angolo, rischia di formare un giudizio distorto. Dopo trentasei anni e sette album in studio, il nostro eroe si concede una vacanza compositiva e va a ripescare una manciata di canzoni d’autore, alcune belle, rese con maestria altre leggerine, che incidono poco e aumentano la sensazione complessiva di un disco irrisolto, del lavoro di transizione in attesa dell’ispirazione per pezzi nuovi. Sappiamo che ci tireremo addosso le ire della critica osannante ma, a costo di essere l’unica voce fuori dal coro, riteniamo questo secondo episodio dedicato alle cover, The Blue Ridge Rangers (Rides Again), non pienamente convincente. Intendiamoci è un disco ben suonato – come potrebbe essere il contrario, diamine è John Fogerty! inoltre sono coinvolti musicisti di rango, del calibro di Buddy Miller (gtr), Kenny Aronoff (dr), Greg Leisz (gtr), Jay Bellerose (perc) – ma da lui ci si aspetta altro e forse la prova di questa valutazione sta nel fatto che la canzone più trascinante, che ci fa rimpiangere il Fogerty dei tempi andati, è proprio l’unica sua composizione, ´Change In The Weather´ tratta dal modesto Eye Of The Zombie (1986), forse l’ultima grande canzone di John Cameron in stile Creedence. La scelta delle canzoni è stata, come nel caso del primo episodio, orientata verso brani non famosissimi e inflazionati ma è caduta su pezzi minori del grande country songbook americano. Ci sono un paio di momenti sopraffini, come nel caso di ´Garden party´ di Rick Nelson, brano in cui il nostro dimostra di saper gestire alla grande momenti intimisti andando ad accarezzare i nostri cuori, con la sua voce armoniosa ed ancora giovane, coadiuvato dai due Eagles, Timothy B. Smith e Don Henley ai cori, per uno dei momenti migliori dell’album. Il secondo pezzo di pregio è ´I don’t care´ di Buck Owens un country classico dal passo superiore, anche grazie alle chitarre magistrali di Miller e Leisz. Per contro non sentivamo la necessità di riascoltare, seppur declinato con grazia esemplare, il valzerino di John Denver ´Back me home again´ come pure il saltellante e fanciullesco country di Gillespie ´Heaven’s Just Sin Away´. Venendo all’acclamato duetto con il Boss diremmo che non lascia il segno in quanto John approccia ´When will i be loved´ su una tonalità così alta che il povero Bruce non la piglia e quindi neppure si sente se non nell’assolo. Dicevamo che ci saremmo aspettati di più e ciò non solo nella scelta dei brani ma anche nella lunghezza del disco, davvero indecorosi trentanove minuti per i soliti venti euro! Questa volta siamo in credito Mr. Fogerty, la grandezza che hai mostrato nei recenti concerti è ben altra cosa, alla prossima.