Jim Lauderdale Carolina Moonrise:Bluegrass
2013 - Sky Crunch Records / IRD
Voglio dire, è possibile che Jim Lauderdale creda nel Bluegrass ancora prima di credere nella musica? Perché, a questo punto della sua discografia, in cui se c’è stato qualche piccolo spostamento è stata una cotta momentanea (vedi Patchwork River, in cui il nostro paladino folk si orienta verso l’elettrico sfiorando il blues-rock), per il resto ogni opera è scultura, definizione e giravolta delle stesse tre canzoni! Ma la cosa che stupisce, ancora una volta, è l’efficacia di questa operazione! Lo ripeterò all’infinito: con la tradizione gli americani non deluderanno mai. Caroline Moonrise:Bluegrass è un disco che chi ama il genere comprerebbe ad occhi chiusi. Gli altri, pure.
I musicisti, gli stessi delle più recenti avventure, automatizzano ormai gli incastri armonici e gli interventi come fossero i cavalli delle giostre, una volta inserito il gettone, la grande danza ha inizio, luci colorate accompagnano gli equini che si inseguono la coda su e giù per il tracciato a senso unico. La corsa a chi salta sul puledro per primo è troppo invitante e si prende parte a tutto questo, inevitabilmente, in un clima d’altri tempi, per un buon quaranta minuti almeno.
Pazzesco è lo stile dobro del chitarrista Randy Kohrs, per non parlare di Scott Vestal, il banjo più scatenato di Duncan, OK. Il sodalizio con Robert Hunter (niente popò di meno che poeta e paroliere dei Grateful Dead) pare inossidabile, vista la permanenza nel progetto che, piacevolmente, gode ancora della sua firma.
Volendo dare una preferenza alle canzoni dell’album, da segnalare come irresistibili sono la classic country I’Won’t Let It Show, la tenera folk song Troublemaker, e Can I Have This Dance?, dove certamente è stato fatto il lavoro vocale più stucchevole.
L’artwork è ben curato, nel suo digipack grafico che non lascia dubbi su cosa si ascolterà, dettaglio visivo che va sempre a completare la riuscita di un prodotto 100% americana.
C’è da divertirsi.