Jd Allen Radio Flyer
2017 - Savant / IRD
#Jd Allen#Jazz Blues Black#Jazz #post bop #free jazz #sax tenore #JD Allen #Liberty Ellman #Gregg August #Rudy Royston
Il primo brano, Sitting Bull, rivela subito le coordinate stilistiche del nostro, e da solo vale l'acquisto (o l'ascolto) dell'intero cd. Il tema semplice, le tonalità basse, il suono “chiuso”, grezzo e un po' sinistro, l'incedere ponderato e ambiguo conquistano al primo ascolto, in una traccia organizzata per larga parte come un doppio assolo paralleli del sassofono (seguito dalla chitarra) e della batteria. Allen lavora per piccoli gruppi di note più che per raffiche di suoni, cercando di mantenere sempre una saldissima presa melodica. La title track apre con un tema più elaborato e compiuto, accompagnato dal contrabbasso suonato con l'archetto. La progressione del sax, sporcata dai riverberi e dalle schegge di Ellman, moderatamente free, si sviluppa in direzioni diverse ma comunque più familiari all'ascolto rispetto alla traccia d'apertura. La musica fluisce libera e naturale, anche se l'interplay tra i quattro è molto più intricato di quel che appare a prima vista, e lo si avverte in tutte le tracce. The Angelus Bell è molto fluida: l'introduzione è boppistica, l'assolo più coltraniano. Sancho Panza ci porta verso gli inaspettati piaceri di una ballata, dove spiccano la performance profondamente lirica di August e quella della chitarra, divisa tra accordi e note. L'eccezionale grado di condivisione, fra i quattro, delle mood del pezzo non deve passare sottotraccia. Fuori dal solco principale di Radio Flyer c'è anche la conclusiva Ghost Dance, dove l'andamento più sincopato della batteria segna tutto l'ascolto. Sono invece assolutamente in linea con il resto Heureux e Daedalus. La prima è aperta da un piccolo tema post-bop; l'atteggiamento è rilassato e concentrato e si avverte qualche venatura blues. Della seconda vanno sottolineati lo swingante botta e risposta tra sax e batteria e i diversi registri sonori che tocca nel suo sviluppo (i pezzi sono da 7-9 minuti, più lunghi che su Americana); chiudono i tonanti tamburi dello straordinario e perennemente irrequieto Royston, che riportano drittti dritti al tema.
Temi concisi, fraseggio pacato e la capacità di attirare immediatamente l'attenzione senza mettere in primo piano sfavillanti capacità tecniche: JD Allen è soprattutto questo. Non è l'ennesima lucidissima copia di Coltrane, né un vacuo e alla lunga inconcludente modernista, né un più o meno raffinato scopiazzatore di altre musiche più o meno “nobili”. Riprende lo spirito dei grandi sassofonisti americani degli anni Sessanta e lo rielabora da par suo, dentro piccoli contesti (trii e quartetti). E sembra attraversare una fase dove trasforma in oro tutto ciò che tocca. Consigliatissimo anche ai non jazzofili.