Nel 2002, a 22 anni di età, il pianista inglese Jamie Cullum in trio con i fidatissimi Geoff Gascoyne (contrabbasso) e Sebastiaan de Krom (batteria) veniva messo a contratto dalla storica label Candid e rilasciava il suo album di esordio ´Pointless Nostalgic´ che lo lanciava nel firmamento del pop jazz.
Per celebrare il suo 50o l’etichetta produce questo ´Devil May Care´ che si basa essenzialmente sulle session del disco di esordio, di cui vengono riproposti sette brani, unitamente a tre inediti.
Chi ha incontrato Jamie nel suo ´Pursuit´ del 2009 troverà qui più ingenuità, minor produzione, echi più diretti della sua gavetta nei club con un canto già adulto.
Cullum propone un mix tra jazz, swing, soul e (qualche volta) pop / rock in una formula a trio lontana da schemi di interplay ricercato, più prossima ad un intrattenimento vivace che semplifica, senza banalizzare, anche momenti potenzialmente complessi come ´Well You Needn’t´ di Monk. L’eco del geniale pianista si sente ma il brano assume un ritmo scoppiettante quasi paradigmatico della reinterpretazione che il trio dà del bop.
Anche ´It Ain’t Necessarily So´, di Gershwin, è rielaborato con un ritmo puntato blues e fumé da locali distanti dalla Tin Pan Alley.
Molto interessante è l’inedito ´God Only Knows´ eseguito con un quartetto d’archi in un felicissimo mix di jazz e pop alla Eleanor Rigby dei Beatles.
In ´Too Close For Comfort´ i fiati interloquiscono con la voce nel classico schema di chiamata e risposta delle orchestre swing in una tipica venatura da intrattenimento anni ’30-’40.
´Love Won’t Let Me Know´ richiama a tratti Stevie Wonder.
Notevole è ´Small Day Tomorrow´, affidato alla voce da nottambulo deambulante di Bob Dorough sostenuta da un piano blues e da un basso che esegue ritmo, armonia e melodia; tra il meglio dell’album.
´In the Wee Small Hours..´ chiude il lavoro con un tono dimesso, riflessivo, rispettoso in questo caso dello standard, concludendo in modo inatteso un lavoro vario, gradevole e di sostanza.
Per chi già conosce Jamie il disco non è imprescindibile ma per chi è al primo approccio risulta una buona introduzione; inoltre, una volta tanto, gli inediti non sono dei riempitivi ma rappresentano il maggior valore aggiunto del lavoro.