James Blake James Blake
2011 - Atlas/A&M
Anthony è il paragone più naturale e istintivo ma io vedo in quest’album straordinario anche il David Sylvian più estremo dei remix di Blamish (The Only Daughter 2004), o di Pop Song il capolavoro con cui mise termine, nel 1989, alla seconda parte della sua carriera. Ecco canzoni pop perfette rivestite dell’elettronica autarchica meno rassicurante e convezionale.
Ma allora se il disco è così bello perché non parlarne subito di questo londinese pieno di elettronica, solo apparentemente fredda, ma con una voce che sa di soul e una scrittura che potrebbe rimandare a un Nick Drake? Perché non accodarsi subito ai tanti che ne hanno parlato così tanto e così bene? Perché non vi ho raccontato prima del blues elettronico minimale di I Never Learn To Share - con le poche parole modulate ossessivamente -, dei silenzi carichi d’intensità di Lindisfarne II, dei break elettronici mai usati in forma ritmica, della splendida cover di limit to your love, dei pianoforti che scompaiono nello screzio elettronico?
Probabilmente volevo rimanere con questo disco in solitudine, cullarlo e farmi cullare dalla sua intensità come se appartenesse solo a me e non avesse riempito da subito riviste e televisioni di tutta Europa, e la BBC non lo avesse inserito tra le grandi promesse della musica inglese! Forse volevo risentire l’andatura gospel di Measurements, il brano di chiusura dell’album, come se fosse ogni volta rivolta a me e solo a me!
Egoista? Un po’ sicuramente. Ma anche con il desiderio che un gioiello come questo non diventi moda, che la sua scarna complessità, fatta di dissonanze e melodia pura, non fosse data in pasto a chi non avrebbe potuto gustarlo e condividerlo. Perche il trucco forse questa volta sta nel trovare una intimità personale con il disco che solo in un secondo momento possa diventare condivisione con chi ti è vicino sino a farlo crescere ed affidarlo a chi è li, fuori. Questo disco di James Blake è una creatura fragile e straordinaria, abbiatene cura!