Isobel Campbell There Is No Other
2020 - Cooking Vinyl
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Un percorso accidentato, segnato da fatiche e sofferenza, ha accompagnato la genesi di There Is No Other, al punto che Isobel Campbell è stata sul punto di mollare tutto. A disco quasi completato la sua casa discografica fallisce, e le successive peripezie giudiziarie per tornare in possesso dei diritti dei pezzi durano anni. La cantante-compositrice-violoncellista scozzese cade in uno stato di profonda prostrazione psichica, di cui paradossalmente non resta traccia nell'atmosfera rilassata del lavoro finito: “Mi sentivo come se fossi in pensione, o in prigione”. Poi la rinascita, la firma con l'etichetta Cooking Vinyl, gli ultimi ritocchi con un team di nuovi musicisti e il battesimo finale del suo quinto lavoro solista, a 14 anni da Milkwhite Sheets (2006) e a un decennio da Hawk, l'ultimo scomparto del trittico realizzato con Mark Lanegan. Quella riuscita collaborazione tra due personalità così spudoratamente agli antipodi segnava l'ultimo passaggio nella variegata carriera di Isobel, già tra i fondatori dei Belle & Sebastian.
There Is No Other si rispecchia nei lineamenti eterei e nella voce della sua autrice, fragile e ipnotica, ma anche opaca e povera di modulazioni: un sussurro languido e uniforme che ti culla come una ninna nanna. Farsi catturare è fin troppo facile, ma non deve sfuggire il lavoro di contorno e l'attenzione con cui i tredici brani sono confezionati nel dettaglio. Melodie semplici si trasformano i meccanismi sofisticati e ben congegnati, dove nulla è lasciato al caso. Intorno alle sequenze della chitarra, ridotte all'osso e quasi sempre in primo piano, girano melodie pop o folk, avvolte in un delicato involucro acustico e spesso quasi cameristico, con gli archi come protagonisti. I ritmi, dai beat elettronici alla bossa nova, sono tutt'altro che scontati. E a dare il tocco decisivo al disco di questa scozzese, da tempo emigrata, non a caso, in California, interviene una spruzzata di psichedelia, marchio di fabbrica di There Is No Other, disco “sognante” e “dell'altro mondo”: “One word I had in mind for this record was psychedelic. A dreamy, otherworldly feel”, ci spiega l'ex Belle & Sebastian. Un trattamento incredibilmente riservato anche all'anthem pettyano Running Down A Dream, unica cover del disco, che la Campbell osa trasformare in un brano pop mid tempo di sapore dolce-amaro, sorretto dalla vibrazione ininterrotta del sintetizzatore e da una drum machine. Se è un peccato di lesa maestà, è un peccato ben fatto: gli integralisti si astengano...
Anche perché i peccati veri sono forse altri: soprattutto un'eccessiva leggerezza e uniformità nelle melodie, che funziona al meglio solo nei pezzi presentati in versione “tascabile”, spesso sotto i tre ma anche i due minuti. Se Hey World azzecca il perfetto riff da pop-song circolare, arricchito da un riuscito crescendo finale gospel-soul, in altre occasioni (come in Vultures) si ha la sensazione di rimanere chiusi nella gabbia senza via d'uscita di una cantilena. Una gabbia magari attrezzata con i gadget più piacevoli, pescati un po' dappertutto (c'è anche un po' di bossa nova in Rainbow), ma pur sempre limitante. Va invece molto meglio dove le soluzioni si ampliano, offrendo qualche appiglio e qualche via di uscita in più. L'iniziale omaggio alla City Of Angels è piacevolmente notturno e avvolto in un'atmosfera cameristica sempre più presente, prima con le vibrazioni degli archi e poi con qualche fiato. Boulevard è una ballatona ammaliante e ricca di sviluppi, che acquista pian piano sostanza strumentale. The Heart Of It All, magari un po' mielosa ma certamente riuscita, si immerge nello sfondo di un sontuoso coro gospel e si fa cullare dalla pedal steel. The National Bird Of India è un grande pezzo, forse il migliore di There Is No Other, con una base folk che arriva direttamente dalla terre natìe dell'artista, dove la linea della chitarra è virtuosamente attraversata dai suoni acidi degli archi.