I professori Ero80
2024 - Infecta Suoni e Affini
Ero80, si diceva. Forse a questo punto ne avete già una vaga idea. Ero80 è un concept album sulla disillusione negli anni Ottanta della grande illusione. Il disco d'esordio dei sedicenti I Professori, ennesimo tornante autoriale imboccato da Davide Giromini che della band è parte integrante e sostanziale. Ricordate l'ineffabile Stanislao Moulinsky dei fumetti di Nick Carter? Davide Giromini gli assomiglia per funzionale mimetismo artistico: dopo anni da Re del noir, di vetero-punkismo, post-sovietismo, anarco-nichilismo, oggi è membro di un consiglio di classe (I Professori) in cui si dibatte dell'inizio della fine (dei tempi): micro e macro apocalissi sullo sfondo post ideologico che ha portato all'eroina come modus vivendi, alla morte dei sogni e del sociale (“E io giocavo nell'Uuuurss con la maglietta di Blochin”).
Per identificare le impronte della scrittura girominiana però non c’è bisogno di Nick Carter: se le hai intraviste una volta non te ne scordi, lo capisci a occhio e a orecchio che sono le sue. Tradotto in fattispecie musicale, significano taglio e passo autonomi anche in questo nuovo disco, anche se sotto martellanti deviazioni techno (Provincia) e tese impronte rock. Nell’attuale apogeo delle canzoni (?) innocuo-ombelicali, Davide Giromini (e I Professori con lui) ci regala, au contraire, l'ennesimo disco controcorrente, odisseico, ossimorico impegnato/disincantato. Il punto di forza principale della scrittura di Giromini risiede prioprio nella sua capacità distonica, nell’abilità di creare suggestioni attraverso la crasi fra significante (parole e musica) e significato. Almeno tre canzoni di quest'album – Nancy Reagan, La maglietta di Blochin, Mondo naif - sono fedeli alla linea paradigmatica girominiana: se da un lato si avvalgono di un tappeto sonoro irresistibile, quasi da tormentone radiofonico, dall’altro esplicitano libere associazioni di derive interiori in parallelo con la deriva sociale. In casi come questo, la seduzione della presa armonica funge da cavallo di Troia, apripista spiazzante per contenuti al contrario incisivi, come quelli compresi in questo Ero80, un disco sbilanciato tra crisi personali e collettive.
“Vedo i campi bagnati dalla brina che salta sotto gli occhi del sole/ a donare l'argento alla follia della notte nuova forma e colore/ una vecchia canzone di Jaques Breil/ ogni volta che muore Sebastien rinasce Belle/ e se per l'infermiere del Sert/ io son sempre malato/ la rivoluzione ma fatela voi/ io cammino di lato/ e sognavo di esser riformato/ la mia generazione no/ è mancato un modello civilmente impegnato/ e io ora lo so/ che siamo figli di Spock/ Nello spazio celeste con le nostre astronavi noi cerchiamo l'amore/ con il cuore malato roteiamo nel cielo l'alabarda spaziale”. (Figli di Spock).
Il pop è stata l’altra droga degli anni Ottanta, la droga pop-ottundente del decennio soap della vacuità. L’anti-eroe di Ero80 (un tossicodipendente della Massa Carrara di allora) è vittima, non a caso, di una dispercezione esistenziale lata, grottescamente divisa fra videogiochi ed eroina. Cartoni animati ed eroina. Maradona, Muccioli ed eroina (Montedison). Rambismo, politica, spaccio, ed eroina (Nancy Reagan). La sua parabola è paradigmatica di un mondo. Schizofrenico a sua volta. Scisso tra slanci sintetici (ma qualcuno si ricorda degli slanci edonistici degli Ottanta?), sogni morti all’alba, e prezzi da pagare al prezzo della vita e della droga. Nella canzone omonima, Lou Reed risulta in tal senso un’immanenza struggente, un’entità gravitante su storie comuni di amori finiti, SERT e solitudini da “panchina vuota”.
E se Cane Malato è un manifesto spurio, un Cantico dei drogati (De Andrè) aggiornato al primo tempo della dittatura liberista, e se nemmeno le occupazioni sono più quelle di una volta (ammorbate dalla presenza di yuppies e paninari, in Liceo Marconi), Mondo naïf si consuma nei toni di falsa allegria, paradigma della leggerezza dell'essere diffusa negli Ottanta, gli anni di pongo che non sono finiti mai. In ultima analisi: Ero80 è un esordio coi fiocchi, niente da buttare in questo disco. La scrittura di Giromini peraltro è garanzia, di questi tempi davvero merce rara. Mi approssimo ai saluti con un inserto personale: fuori tempo massimo anch’io ho giocato nell’URSS con la maglietta di Blochin. Sarà per questo che ho assunto la traccia omonima come personale madeleine – una traccia punkeggiante, sullo sbiadire di sogni e ideali da Guerra fredda –: dalla prima volta che l'ho sentita non faccio che cantarmela nella testa. Ne riporto il testo in esteso: merita. È peraltro emblematico dei toni chiaroscurali – a volte disperanti, delle altre ironici, intimi o affilati - dell’intero album:
“Licenziare il punk dal brand rivoluzionario/ Gianna lo ascoltava dallo yatch ma era già fuori orario a si gettava sul pop/ la cocaina nel rock ti da se ne prendi tanta/ Lenin non ha resistito alla stretta mortale degli anni 80/ è un rock?n roll suicidio/ è una sconfitta per noi/ e l'edonismo è un supplizio/ e c'è bisogno di eroi/ e io giocavo nell'URSS con la maglietta di Blochin/ e combattendo i cosacchi del Don/ il cielo sopra a Berlino cominciava a bucarsi a cannonate di lacca bombe H di phon/ Ivan Drago contro Simon Le Bon/ Diventare dark nel brand del mondo annichilito/ solo questa luna salverà/ dal pentapartito dai brani di Raf/ dal potere del CAF sui NAR/ dalla morte di Tito/ da Buddah che vuole sedare una bomba che invece dovrebbe scoppiare in occidente lo so/ ma l'occidente però/ e io giocavo nell'URSS con la maglietta di Blochin ..... / e io giocavo nell'URSS con la maglietta di Stalin/ ma non sapevo dei Gulag/ finchè non me ne parlò il brigatista Frediani/ e quanto me ne fregò del cielo sopra a Berlino/ per sognare si tornò al cucchiaino”.