Htrk Venus in Leo
2019 - Gosthly International
Forse non troppo sorprendentemente, invece, visto che le tracce di un nuovo disco erano state in parte già concepite e suonate quando il bassista era ancora in vita, l’anno successivo gli HTRK immettono sul mercato Work (Work, Work). Si tratta di un album dalle atmosfere sensuali e claustrofobiche che suona come il frutto di un improbabile matrimonio sonoro tra l’electronic proto-punk di Alan Vega e lo smooth soul di Sade Adu. Tornati in Australia, questa volta a Sidney, HTRK produce nel 2014 la prima prova nata dai talenti dei soli Yang e Standish: Psychic 9-5 Club. È questo un disco che rimanda alla svolta techno/art noise degli Everything But The Girl di Walking Wounded (1996) e che gioca nello stesso campionato dei Portishead. Minimalista e raffinato, esso rappresenta un ulteriore passo avanti nel processo di definizione di un suono riconoscibile, giovandosi nella produzione di artifizi quali il reverb e il delay ad accentuarne la languida carica ipnotica.
Per ascoltare il seguito del riuscito Psychic 9-5 Club, l’opera che ha dato forma alla personale estetica del duo australiano, è stato necessario attendere ben cinque anni. Si può senz’altro affermare che ne è valso la pena: Venus in Leo, uscito il 30 agosto 2019, suona infatti come l’opera più matura finora divulgata dagli HTRK. Se permangono le atmosfere sensuali che a partire da Work (Work, Work) costituiscono il trademark del suono del duo, la freddezza e il nichilismo che pur rendevano affascinante quella sorta di angoscia erotica che pervadeva i solchi delle canzoni di Yang e Standisch fino a Psychic 9-5 Club compreso lasciano ora il posto ad un’anestetica malinconia che paralizza l’ascoltatore in uno stupore alcaloide. I suoni sono più soffici e maggior spazio viene dato a strumenti quali la chitarra acustica, che nei lavori precedenti venivano cannibalizzati dal pesante apporto dei sintetizzatori. La voce di Jonnine Standisch sembra possedere note più mature e conoscere una nuova espressività, si fa strumento tra gli strumenti e contribuisce ad accompagnare un ascoltatore desideroso di arrovellarsi nei propri tormenti allo stato di stolida stupefazione promesso fin dall’iniziale Into the Drama («Why do I seem to fall/I fall into it all»). Mentre Jonnine accetta di sprofondare nei suoi demoni («You got me dying» - Dying of Jealousy) o invoca il soccorso di Venere («Venus, don’t you make me wait too long» - Venus in Leo), Nigel ricama tessuti elettronici dall’ordito sofisticato, contraddistinti dal sovrapporsi di strati sonori che sembra provino quasi a divincolarsi dalle ritmiche meccaniche e stranianti. Un ottimo album, insomma, che nell’ambito dell’elettronica più creativa fa quest’anno il paio con la produzione di un altro duo eccellente, quello costituito dai messicani Lorelle Meets the Obsolete.