Heath Cullen Springtime In The Heart [Lost & Found]
2020 - Five By Nine Recordings
L’artwork del disco mi ha incuriosito fin da subito e mi sono messo all’ascolto… che dire: ne sono rimasto folgorato. Non contento ho indagato e ho scoperto che Heath Cullen aveva precedentemente dato alle stampe altri tre lavori autoprodotti. Li ho già ordinati direttamente a lui, e mi ha gentilmente risposto ringraziandomi con la promessa di incontrarci un giorno in Italia, magari nel backstage di un suo concerto.
Sono sempre stato attratto dai personaggi come lui, musicisti che vivono la musica in maniera indipendente, beautiful losers ai margini del mercato discografico, come spiega lui stesso nelle note biografiche del suo sito internet. In effetti non troverete Springtime In The Heart di Heath Cullen su Spotify, Apple Music, Amazon o altri canali del genere, ma solo su Bandcamp o direttamente nel suo store (https://music.heathcullen.com).
Come spiega sul suo sito è contrario a lasciare nelle mani di queste piattaforme la sua musica perché durante questo momento storico sfortunato i musicisti sono in grande difficoltà mentre gli attuali distributori di musica liquida (sigh!) guadagnano milioni di dollari pagando la loro opera pochi spiccioli. Concordo con Heath Cullen: un disco è frutto di sacrifici, coinvolge molte persone, con costi importanti, regala emozioni a tanta gente, ma soprattutto è un lavoro e come tale deve essere retribuito come del resto i musicisti che hanno collaborato.
Quando ho aperto il CD e ho letto che la produzione era di Joe Henry, suo grande amico tra l’altro, beh… un biglietto da visita niente male! Ho tutti i dischi di Joe Henry e anche molti di quelli che ha prodotto: non ne ha mai sbagliato uno, quindi ero sicuro di avere tra le mani qualcosa di importante. C’è molto di lui in questo disco, le canzoni sono arrangiate molto nel suo stile e i musicisti vengono dal suo giro: Jay Bellerose alla batteria, Jennifer Condos al basso, Levon Henry ai fiati, Adam Levy alle chitarre e infine Patrick Warren al pianoforte e tastiere.
Il disco si apre con Things Are Looking Up ed è subito un mid-tempo con una batteria gentile che accompagna le note profonde di un piano in lontananza. Una chitarra leggermente riverberata ci immerge in una storia molto importante e attuale. Ci racconta di quanto stiamo maltrattando il pianeta dove viviamo, siamo l’errore di Madre Natura. Dovremmo invece ripagarla per tutto ciò che ci dona. La canzone si chiude con parole di speranza, con l’augurio che l’umanità cambi le proprie abitudini prima che sia troppo tardi.
The Song Always Remembers parte in punta di piedi, con la voce e le parole sussurrate di Heath accompagnate da una batteria a tempo di valzer e con Levon Henry, il figlio di Joe, che soffia con la sua tromba ricami gentili, quasi jazz, sfumando in lontananza fino alla fine la canzone. Una ballata struggente che parla di Paradiso e Inferno, di bugie che sono mezze verità e di promesse da mantenere.
Song That I Know è scritta a quattro mani: le parole di Joe Henry e la musica di Heath Cullen si fondono perfettamente, mai uno strumento fuori posto, mai suoni invadenti, solo precisi interventi raffinati, echi di Tom Waits, che danno alla canzone uno spessore davvero importante.
Cowboy Truths è una bellissima ballata dedicata alla memoria di Sam Shepard, che con i suoi racconti è stato di grande ispirazione per Heath. Interventi moderati di tutta la band colorano di suoni vintage questa splendida canzone dalle parole molto belle dedicate agli spiriti liberi, con un grande cuore.
Hurry In Your Heart continua a regalare belle vibrazioni. Il pianoforte comanda la melodia mentre la chitarra accompagna la voce di Heath. Una canzone intensa e al tempo stesso delicata, da ascoltare a luci soffuse, dove le parole sussurrate alla donna che ama si sovrappongono alle cicatrici che la vita lascia inevitabilmente. Suonata in punta di piedi, sullo stile delle canzoni più classiche di Joe Henry.
The Shape Of Your Name si apre alla maniera dei migliori Leonard Cohen e Tom Waits. Il testo è ispirato a una storia d’amore che ha lasciato segni evidenti nella sua vita. Suonata impeccabilmente: ancora una volta Levon Henry regala preziosi interventi di clarinetto in stile Dixieland, ma è tutta la band che regala un suono strepitoso a questa canzone con interventi eleganti e misurati, tra le mie preferite sicuramente.
The Last Match è incentrata su un giro di chitarra acustica. Immagino sia nata in qualche notte piena di angeli e demoni che non trovano pace, che trascinano le proprie vite ai margini, che combattono e si ritrovano accanto, feriti. La voce di Heath in primo piano, sussurrata come un lamento sofferto, regala brividi intensi.
Home racconta della bellezza del ritorno a casa, delle sensazioni che si provano quando hai un posto dove stai bene, dove sai che puoi appendere il tuo cappello al muro e ascoltare buona musica da una vecchia radio a transistor, di quanto tutto questo sia una cosa semplice e importante da condividere. Arrangiata in modo impeccabile, con suoni acustici che danzano, abbracciati fino alla fine, creando un tappeto sonoro gentile, con il pianoforte acustico di Patrick Warren che, con pochi misurati interventi, porta intensità pura a questa straordinaria ballata.
Springtime In The Heart dà il titolo al disco. Una canzone personale e bellissima. Parla di gentilezza e umanità. C’è sempre posto per una primavera nel nostro cuore perché un gesto sincero alla fine ti ripaga sempre e ti porta bellezza dentro. Si sentono molto anche qui nell’incedere della voce certe sonorità che ricordano il Tom Waits più raffinato, sicuramente uno tra gli artisti che lo ha influenzato e lo ha ispirato a comporre le sue storie in musica.
Kill Switch chiude il disco. È una cover di una canzone del 1992 a firma T-Bone Burnett, uscita nel suo album The Criminal Under My Own Hat. E lo chiude alla grande, facendo sua la canzone, con un incedere cantato e suonato a meraviglia, che nel finale lascia spazio alla band di esprimere tutta la sua bravura, senza mai eccedere in virtuosismi strabordanti, ma con interventi moderati e trame sonore come solo i grandi musicisti sanno fare.
La mia opinione è quindi molto positiva e sono sicuro che se questo disco fosse stato scoperto da qualche rivista sarebbe entrato di diritto tra i migliori lavori del 2020. Ora aspetto di ricevere i vecchi album di Heath Cullen, per indagare ancora più a fondo da dove arriva tanta bellezza, nella speranza di vederlo presto su un palco in qualche club in Italia e ringraziarlo di persona per le belle vibrazioni che mi ha regalato con le sue canzoni.