Go Dugong WAS (EP)
2014 - LebensStrasse
La musica elettronica oggi non è solo voci filtrate, riverberi digitali, synth in primo piano e una certa attitudine geometrica del suono. E’ il caso dei Go Dugong progetto musicale composto da un solo uomo Giulio Fonseca, un tipico esempio di come si possa ancora cercare tra le maglie della rete una specifica variante di un genere che ormai ha inondato il mercato. Se da una parte l’accoppiata vintage/avanguardia è diventata ormai la stella polare dei “nuovi artigiani del bit” è altrettanto vero che gli accoppiamenti stilistici e temporali dei suoi sottogeneri rimangono pressoché infiniti.
I Go Dugong ci servono, in maniera ricercata e sofisticata, un piatto povero tipico della cucina anni ottanta e novanta con varianti a tema che ne connotano in maniera marcata la sua provenienza “regionale”. In effetti l’orientamento intrapreso appare quantomeno coraggioso. L’identità autonoma delle singole tracce è ben precisa, denotando una volontà di riscrittura avulsa da ogni logica strettamente commerciale. Quello dei Go Dugong è un cocktail di remote trame in stile italian disco amalgamate con un’attitudine nuova: affonda le radici nella prima house music e si carica di un prog-ambient di recente ispirazione. Un disco patinato nella sua accezione estetica, ma dal corpo techno con le sue fluttuazioni melodiche e le sue appiccicose ripetizioni ritmiche tipiche dell’acid house. Un disco Was, come spiegherà più tardi lo stesso autore, recuperato letteralmente dal passato.
In realtà queste cinque tracce sono molto di più di una semplice pubblicazione postuma. Un tentativo largamente riuscito di unire piacenti e gioviali atmosfere di stampo edonistico con una struttura, per così dire, in linea con il nuovo modo di sentire. Un beat vellutato dai contorni finissimi e una tessitura a maglie larghe, dove inserire esplosioni misurate di dance music, come si faceva una volta, a dimostrazione della propria ascendenza retrò. Un’ottica eccentrica e al di fuori delle regole con lo sguardo rivolto all’indietro, portando il disco alla definitiva emancipazione da un’istanza minimalista e rumorista così presente nel panorama attuale. Reminiscenze tipicamente chill-out rafforzano la netta sensazione di essere di fronte, preminentemente, a un’opera di “restauro”.
Alla fine un banchetto dell’antiquariato in salsa digitale è quasi una prima assoluta per ripercorrere e concentrare in unico sforzo le proprie velleità. Un gioco di derivazione pop che rende merito e il “valore della testimonianza” anche agli apici del kitsch. Un modo disimpegnato, o forse no, per concederci un’altra insostenibile leggerezza …
I Go Dugong ci servono, in maniera ricercata e sofisticata, un piatto povero tipico della cucina anni ottanta e novanta con varianti a tema che ne connotano in maniera marcata la sua provenienza “regionale”. In effetti l’orientamento intrapreso appare quantomeno coraggioso. L’identità autonoma delle singole tracce è ben precisa, denotando una volontà di riscrittura avulsa da ogni logica strettamente commerciale. Quello dei Go Dugong è un cocktail di remote trame in stile italian disco amalgamate con un’attitudine nuova: affonda le radici nella prima house music e si carica di un prog-ambient di recente ispirazione. Un disco patinato nella sua accezione estetica, ma dal corpo techno con le sue fluttuazioni melodiche e le sue appiccicose ripetizioni ritmiche tipiche dell’acid house. Un disco Was, come spiegherà più tardi lo stesso autore, recuperato letteralmente dal passato.
In realtà queste cinque tracce sono molto di più di una semplice pubblicazione postuma. Un tentativo largamente riuscito di unire piacenti e gioviali atmosfere di stampo edonistico con una struttura, per così dire, in linea con il nuovo modo di sentire. Un beat vellutato dai contorni finissimi e una tessitura a maglie larghe, dove inserire esplosioni misurate di dance music, come si faceva una volta, a dimostrazione della propria ascendenza retrò. Un’ottica eccentrica e al di fuori delle regole con lo sguardo rivolto all’indietro, portando il disco alla definitiva emancipazione da un’istanza minimalista e rumorista così presente nel panorama attuale. Reminiscenze tipicamente chill-out rafforzano la netta sensazione di essere di fronte, preminentemente, a un’opera di “restauro”.
Alla fine un banchetto dell’antiquariato in salsa digitale è quasi una prima assoluta per ripercorrere e concentrare in unico sforzo le proprie velleità. Un gioco di derivazione pop che rende merito e il “valore della testimonianza” anche agli apici del kitsch. Un modo disimpegnato, o forse no, per concederci un’altra insostenibile leggerezza …
