Gianni Mimmo Harri Sjöström Live at Bauchhund
2011 - Amirani Records
Gianni Mimmo del sassofonista newyorchese può essere considerato a buon titolo l’erede diretto, e avere un musicista di tale profilo in Italia dovrebbe riempirci di orgoglio, oltre che di estrema attenzione per quanto produce. Mimmo, classe 1963, vive a Pavia, e qui ha dato vita a Amirani, che oltre a essere la sua casa discografica è la bottega dove ripara strumenti musicali. Si dedica esclusivamente al soprano, che più degli altri ottoni alla cui famiglia appartiene presenta limiti notevoli dal punto di vista della fisiologia del suono; la sua dedizione è dunque innanzitutto una scelta non solo estetica ma anche poetica, e quindi di prassi: una ricerca non massimalista, uno scavo che dà vita a una terra di mezzo tra musica e scultura. Lavoro di ricerca sugli armonici, sulla lateralità dello strumento, e poi allargamento dei confini di riferimento oltre l’improvvisazione, col mondo della contemporanea e con quel mondo border che è il post-rock.
Harri Sjostrom è di origine finlandese e di un anno più giovane, studia anch’egli con Lacy e Leo Wright, e dagli anni ottanta si dedica all’insegnamento. Considera la musica come uno scambio di socialità, un dialogo, e del resto le sue collaborazioni annoverano musicisti come Bill Dixon, Derek Bailey, Cecil Taylor e Philipp Wachsmann. Personalità che si sono sempre confrontate con un’idea forte di condivisione, ricavando da un certo collettivismo l’attitudine ad alimentare reciprocamente stimoli e motivazioni.
Il risultato è un lavoro dove gli stili dei due musicisti si rinforzano reciprocamente, pur mantenendo intatte le loro caratteristiche: Mimmo più ellitticamente sinuoso, Sjostrom più pulviscolare e rauco, ma si tratta di scarti rispetto a un lavoro comune, con le ance a lavorare di fino sulle sfumature come scalpelli, dando vita a uno spazio meditativo, con una forte impronta metafisica, dove la fisicità, evidenziata tramite scatti, onomatopee, il soffio che si confonde con la voce, e persino il gioco e l’ironia, viene iniettata nel corpo sonoro mantenendo una decisa attenzione per le sfumature, con decise obliquità che, nella parte finale del set, si aprono alla melodia e, infine, al suono puro, a una linearità rispettosa del processo attraverso il quale si arriva allo sciogliersi delle tensioni.