Gerry Beckley Carousel
2016 - Blue Elan Records
#Gerry Beckley#Rock Internazionale#Folk #gerry beckley #america
L’esordio avviene nel 1971 con la divisione inglese della Warner Bros, con l’album America e lo strepitoso successo di un brano, A horse with no name, che li renderà famosi in tutto il mondo, e realizzeranno poi nel corso degli anni due dozzine di album, tra cui è da ricordare Holiday prodotto da George Martin.
Gerry Beckley porta vanti anche una propria attività solista, iniziata con l’album omonimo nel 1995, e proseguita con diversi lavori, tra cui da segnalare Like a brother a nome Beckley, Lamm & Wilson del 2000, assieme ad altri due grandi musicisti, Robert Lamm (Chicago) e Carl Wilson (Beach Boys), fino ad arrivare a questo Carousel, il suo settimo album solista.
Undici brani, con tre cover, dove Gerry Beckley canta e suona diversi strumenti, chitarre acustiche ed elettriche, basso, tastiere, piano, batteria e percussioni, e dove esce la forte influenza della musica inglese anni ’60 rispetto alla parte West Coast che aveva contraddistinto la carriera degli America. Quasi un ritorno alle origini dunque, vista la forte influenza dei Beatles che si sente in molti brani anche se non mancano momenti con sapori psichedelici, folk e cori alla Beach Boys.
L’iniziale Tokio, che è anche il primo singolo, è una potenziale grande hit nella migliore tradizione degli America con chitarre e impasti vocali alla grande, Lifeline affianca alla tradizionale atmosfera beatlesiana, o meglio in questo caso mccartiana, una ricca sezione di fiati, sax tenore, sax baritono e trombone.
Le tre cover sono una versione di Don’t let the sun catch you crying grande successo del 1964 in piena era beat di Gerry & The Pacemakers, qui in una notevole versione malinconica ed autunnale con tanto di oboe e flicorno, Nature’s way, un brano degli Spirit di fine 1970 di grande impatto anche se di poco successo, reso deliziosamente melodico, dove compare alla chitarra anche il figlio Matt, e To each and everyone uno splendido brano del 1971 di Gerry Rafferty, qui in una grande atmosfera barock-rock.
Da segnalare anche i delicati momenti intimisti di Minutes count, che sembra uscire da un disco dei Crowded House, No way i’m gonna lose you, composta anche con l’aiuto di Dan Wilson, forse il brano migliore del disco, con sognanti e morbide atmosfere in bilico tra psichedelica e West Coast, e la tenue “cameristica” title track , Carousel, piano e oboe, che conclude il lavoro.
Un disco onesto e molto gradevole, dove ogni cosa è al posto giusto, dove ci sono grandi melodie e cori, un lavoro che conferma la grande abilità e professionalità dell’autore nello scrivere e proporre brani che arrivano immediatamente all’ascoltatore con garbo e classe, e nel mixare i due mondi musicali, West Coast e UK sixties, che più di tutti hanno influenzato il percorso dell’artista.