Filippo Sala, Enrico Terragnoli, Danilo Gallo Rifugi
2023 - Aut Records
#Filippo Sala, Enrico Terragnoli, Danilo Gallo#Jazz Blues Black#Jazz
Filippo Sala è un giovane batterista bergamasco, impegnato in questo lavoro anche con lo zither elettrico (una specie d’arpa contemporanea), che con Enrico Terragnoli (chitarra elettrica, podophone e philicorda) e Danilo Gallo (contrabbasso, basso elettrico, flauto, radio, oggetti e melodica) dà vita a un trio aperto alla ricerca sonica, in cui un atteggiamento jazz si incrocia con i Pink Floyd e, se proprio si vuole un riferimento più recente, con i Tortoise degli anni ’90.
Già dal set di strumenti elencati si può intuire un approccio sonoro non ortodosso, in cui l’improvvisazione è votata più alla ricerca di timbri che non ad un classico schema tema – special – tema.
Anzi, il disco è anni luce distante da questo schema preferendo strutture aperte e, verosimilmente, cangianti in funzione del momento dell’esecuzione. Non ci si stupirebbe se dal vivo i brani venissero proposti in modo diverso, data la predisposizione delle composizioni verso una flessibilità “totale” e a un’irriverenza quasi punk.
La scrittura è visionaria, suscettibile di molti stimoli, anche se non divergente e casuale; la metrica è lenta e cadenzata, a tratti vagamente latina (Keef o Un fascino retrò), ma sempre prossima a quell’incedere chitarristico un po’ errabondo di un certo post-rock.
Melodia e armonia passano in secondo piano, emergono invece affreschi per un’estetica tutta contemporanea.
Il basso lavora come cemento di fondo, una brace che mantiene acceso il contesto senza esagerare in prolissismi, lasciando alla batteria un fluire vicino allo stile di Nick Mason unito a contaminazioni world e rock.
L’uso degli effetti e degli strumenti paralleli è sapiente perché non gratuito, ma con un bel valore aggiunto timbrico, al punto che talvolta sembra evocare un combo con organico più consistente.
La cifra del disco sta proprio nella ricchezza dei riferimenti; non si rifiuta nulla né ci si riduce a mescolare. Anche un episodio come Comici, sbilenco e in parte dissonante, rientra appieno nel canone di un lavoro che fa dell’inusualità la sua cifra principale, rifuggendo da cliché e offrendo una visione propria, non limitandosi a pure ricapitolazioni o citazioni.
L’opera rientra in quel bel panorama offerto da un certo “sottoterra” (altrimenti definibile underground) che caratterizza un filone assai interessante del nuovo jazz lombardo, caratterizzato dalla fusione di riverberi metropolitani e popolari, apparentemente un ossimoro che in realtà si rivela una sinergia.
Un’esperienza che merita di essere vissuta.