Erik Friedlander American Power
2012 - SkipStone Records
In realtà la lista di collaborazioni è ben più ampia, mostrando una personalità dai tratti drecisi ma capace di adattarsi a contesti differenti: chi altri può collaborare con personalità così distanti come Julius Hemphill, Sylvie Courvoisier o Ikue Mori senza colpo ferire? Merito di un approccio al violoncello che anche a un superficiale ascolto sa mescolare estroversione e profondità, voglia di sperimentare e amore per le radici. Vivessimo in un’altra epoca, Friedlander, classe 1960, potrebbe essere uno degli ultimi ‘divi’, dato che cantabilità e melodia sono sempre state due delle sue più spontanee, e ben riuscite, caratteristiche.
Ma il suo nuovo progetto, una edizione limitata e numerata a 500 copie in vinile 180 grammi, prosegue un percorso iniziato dallo strumentista almeno già lo scorso anno, coll’album Bonebrigde, accompagnato da Trevor Dunn al basso, Doug Wamble alla chitarra e Mike Sarin alla batteria, una rilettura di musiche che hanno popolato le strade dell’infanzia. Disco che in questi giorni sta passando di nuovo, grazie a Nicola Catalano su Radio Tre, dalle nostre parti a ricordarci uno dei mille rivoli della musica che oggi si dirige direttamente al cuore dell’esplorazione intima e che si sta rivelando una delle spinte più potenti dei nostri giorni, sancendo l’esigenza di riappropriarsi così di uno spazio vitale che il nuovo ordine mondiale sembra, fino a qualche tempo fa con la promessa dell’abbondanza e ora con il ricorrente spettro della ‘crisi’, costantemente negarci.
Già intellettuali come Jean Baudrillard in un saggio come La Trasparenza del Male ci avvertivano più di vent’anni fa – era il 1990, tramite una lettura lucida dei fenomeni artistici ‘contemporanei’, di una corrispondenza tra espansione economica virtuale e tentativi di riappropriazione di sé spinti fino all’iperreale – ricordate Cremaster di Matthew Barney? Ora che la bolla è – finalmente, ma con quali conseguenze – esplosa, proprio gli artisti – da Bjork a Marina Abramovic, giusto per restare al ‘mainstream’ - ci stanno mostrando la strada da seguire per vivere nel famoso ‘ora’, lontani da ogni paradiso quanto da ogni inferno. E’ esattamente lì che è diretto anche Erik Friedlander, a conferma che certe esigenze non sono peregrine, e che l’arte è ancora, fortunatamente, sintomo e tentativo di rispondere alle tensioni che tutti viviamo.
American Power è una raccolta di scatti del fotografo, artista visivo e cineasta Mitch Epstein, già abituato a lavorare in sinergia, come con la scrittrice indiana Anita Desai. Questo suo ultimo lavoro, iniziato nel 2003, è incentrato sul rapporto tra energia e ambiente, una riflessione sul potere e sulle sue relazioni con corporations, governo, consumo di massa, società civile, religione, arte negli Stati Uniti. Lo scorso luglio, in un anfiteatro, mentre il fotografo narrava la storia del progetto seguendo la proiezione delle fotografie, Friedlander dava corpo col proprio strumento a quelle immagini. Da quella performance per il festival Les Rencontres d’Arles, vincitrice del Prix Pictet 2011, nasce poi il progetto discografico.
Sei tracce, tra i due e i sei minuti, dove con l’idea dello scorrere dell’energia come ispirazione, prende forma una musica composta soprattutto da tempi veloci e posizioni particolari delle dita sullo strumento, ma che, come è visibile da quanto riportato sul poster che accompagna l’album, si dimostra di facile scrittura, mentre le improvvisazioni prendono corpo spontaneamente. Chi adora un certo modo di approcciare e sviluppare la musica – non solo – improvvisata amerà molto questo album, gli attacchi decisi, il senso dello spazio, il respiro dello strumentista e il fruscìo dei suoi piedi sul pavimento, le atmosfere tese e liriche nello stesso tempo. Musica organica, ed è qui che ‘le migliori menti della nostra generazione’ si stanno dirigendo, indipendentemente da provenienza, mezzi espressivi, idee di partenza o in sviluppo. Prenderne atto, come di una immensa risorsa e patrimonio per il nostro futuro, è quanto ci spetta, come diritto e come compito.