![The Baggage Room<small></small>](/foto/musica/recensioni/big/7302-emiliano-dauria-the-baggage-room-20250204222952.jpg)
Emiliano D`Auria The Baggage Room
2024 - Via Veneto Jazz
Il progetto assume l’aspetto di una suite concettuale, tutta riferita al movimento delle genti alla ricerca di un destino migliore accettando i pesanti disagi del distacco dalle proprie radici.
Il titolo si riferisce al nome della stanza in Ellis Island, dove chi arrivava depositava i propri bagagli per la fase di accesso a un mondo nuovo e sconosciuto.
Se si legge anche velocemente la scaletta dei titoli ci si rende conto dei temi che D’Auria ha scelto di affrontare, con una visione unitaria sia storica sia musicale, ricorrendo a un linguaggio contemporaneo, a tratti aggiornando pagine come quella mingusiana di Pithecanthropus Erectus.
Partecipano all’avventura Philip Dizack, tromba a cavallo tra Davis e Morgan, Dayna Stephens, sax tenore cresciuto con Wayne Shorter, Rick Rosato, giovane contrabbassista che ricorda William Parker pur senza l’uso dell’archetto, Kweku Sumbry, batterista fluido tra Elvin Jones e Paul Motian.
D’Auria guida il gruppo immergendosi completamente nella cultura della Grande Mela, dimostrando un’attitudine quasi camaleontica nell’assimilare lo spirito dei contesti che sceglie così come, su di un versante completamente diverso, aveva offerto nel suo ultimo First Rain (già recensito qui nel 2023) a forte trazione nordeuropea.
Vale il senso del gruppo che si concentra su idee base presentate e sviluppate da tutti, con una sovrapposizione dei contributi che si concretizzano in un interplay nel quale improvvisa l’ultimo che interviene, lavorando sopra i colleghi che mantengono la scrittura della composizione. L’avvicendarsi degli interventi genera poi un senso di rondò che all’ascolto risulta molto avvolgente e coinvolgente. In generale le armonie, determinate principalmente dal piano e sostenute dal basso, risultano quasi modali; su di esse i fiati disegnano melodie compatte che suonano come ponte tra Europa (a tratti quella mediterranea), America e Africa, esprimendo efficacia nella semplicità che, come detto, favorisce l’accostamento da parte di chi ascolta.
Due brani possono essere citati come esemplificativi.
The Eye Man, con un intro del basso seguito in unisono dalla tromba e dal sax, seguita da un avvicendarsi di questi ultimi due e dal piano con un secondo tema lento, scheletrico, a forte capacità evocativa, nel quale il ritmo indugiante ben rappresenta il tema di fondo del disco.
The Story of Sacco and Vanzetti, lontanissimo dagli echi ben noti dell’intensa ballata di Joan Baez, preferisce spostarsi su echi più urbani, con un sax che fraseggia in stile post Coltrane, meno sanguigno, più essenziale, che ne setaccia la sostanza grazie al tempo trascorso. La tromba, con percorsi ascendenti e discendenti imitati dal basso e dal piano, rende un omaggio non enfatico al dramma ricordato dal titolo, chiudendo con una cadenza sospesa quasi a sottolineare una situazione non conclusa.
Un lavoro molto efficace nella resa dei contenuti ma, soprattutto, nella modernità dell’interpretazione, che riesce a coniugare essenzialità e profondità, aspetto nel quale si manifesta la contemporaneità della visione.
Lontano da qualsiasi schema di provincialismo e di superficialità, D'Auria ottiene molto senza ricorrere a esagerazioni, testimoniando una chiarezza di idee che permette un risultato di altorilievo decisamente convincente.