Dom Flemons Prospect Hill
2014 - Music Maker / IRD
E'il caso di Dom Flemons, figlio della middle-class dell'Arizona, che, insieme all'amore per la poesia, coltiva lo studio dei classici della old-time music, con particolare attenzione alle string-band di colore di inizio novecento, di cui i suoi Carolina Chocolate Drops, fondati nel 2005 insieme a Rhiannon Giddens, erano una moderna versione. Oggi, terminata la fortunata esperienza dei Drops, un Grammy Award nella categoria “best traditional folk album” per l'album Genuine Negro Jig del 2011, Dom continua da solo il viaggio da novello american songster, sempre in giro, camicia a scacchi e occhialini da intellettuale, alla ricerca di un pubblico per le sue ballate folk.
Il repertorio del suo nuovo lavoro Prospect Hill copre un arco temporale che va dai minstrels shows di fine ottocento fino al rock and roll degli anni '50. Dagli assoli di banjo e clarinetto sulle percussioni dixieland di 'Til the Seas Run Dry, alla marcetta per armonica di Marching Up To Prospect Hill con la voce che sputa sudore dal microfono. Fino a Have I Stayed Away Too Long? che è la più moderna, scritta da Frank Loesser negli anni 40, e dunque può essere sporcata da una chitarra elettrica e da un sax. Dal punto di vista stilistico non ci sono arrangiamenti stravolti o stranezze di sorta, da Polly Put the Kettle On a San Francisco Baby, da But They Got It Fixed Right On a It's a Good Thing. Dietro a questo neo-tradizionalismo c’è un ottimo lavoro di creativi, fotografi, esperti di comunìcazione e managing director. Non a caso Flemons è nella board della Music Maker Relief Foundation, organizzazione non-profit fondata per preservare le tradizioni musicali del Sud. Proprio ad un artista riscoperto dalla Music Maker, James Davis, Flemons dedica Georgia Drumbeat, una delle cover più riuscite della raccolta. Scomparso nel 2007, Davis traduceva sulla chitarra elettrica le vibrazioni dei flauti tipici della sua Georgia, esibendosi agli angoli delle strade accompagnato dalle percussioni del padre in un rude duo chitarra-batteria di quelli che oggi andrebbero tanto di moda. Flemons aggiunge alla canzone la sua sensibilità moderna, aiutato dall’armonica di Guy Davis e dai sax di Brian Horton. Il flauto invece è presente davvero in Grotto Beat e domina il brano, ritmico, scuro e tribale. Don chiude imbracciando il banjo, omaggiando Gus Cannon, uno dei miti dello strumento, con una versione fedele e precisa di uno dei suoi cavalli di battaglia: My Money Never Runs Out.
Finita l’era dei vecchietti arzilli in un prato intorno ad un barbecue, questa è musica antica per un pubblico moderno. Concetto, tra parentesi, sconosciuto in Italia.