Davide Ambrogio Evocazioni e Invocazioni
2021 - Autoprodotto
Il primo lavoro di Ambrogio è un album in cui la voce si fa strumento viscerale, arcano, sacrale, arcaico, anzi senza tempo, appunto tra evocazioni e invocazioni, come le sonorità che sanno di terra e vento, di sole e montagne, che appaiono ora impetuose e solenni, ora carezzevoli e dolci.
Tra suoni acustici ed essenziali, scarni e scarnificati, la fanno da padrone le percussioni, con tamburi mediorientali, indiani, irlandesi e nordafricani, che attraversano così i continenti per diventare voce e litania universale. È quel che accade, come si diceva, anche al dialetto, che travalica i confini della Calabria, nel calore intimo e astorico delle vocali chiuse, dello scongiuro, della preghiera e della ninna-nanna, per celebrare la vita, allontanare il male, delineare spazi onirici, interrogare il mistero dell’esistenza e della natura (Misteru, in cui si recita una poesia di Ignazio Buttitta), o cantare la vecchiaia e la fine del viaggio (la conclusiva L’accordo).
D’altronde la presenza di tanti tamburi a cornice non può stupire, se è il ritmo che è incantesimo e miracolo. A volte poi la musica diventa danza rituale e travolgente, apotropaica e terapeutica, che si fa trance ed esalta San Rocco come il vento scirocco, che spazzi via i problemi tra suoni ipnotici quasi celtici.
Un canto di protesta come La panza ciangi e lu cani ridi diventa invece uno scioglilingua e una formula disperata, per poi farsi urlo febbricitante e ballo forsennato e indomito.
Canto dal carcere, dal canto suo, parte con un parlato/recitato toccante, che ricorda un po’ il Cristicchi impegnato o certi metri di Caparezza, per poi dare voce nella musica, nel ritmo e nei cori alla “fame di vulari” e alla verticalità di sogni imprigionati.
D’altra parte, sono la fragilità e la forza umana a parlare nei vibrati, a tremare nella chitarra con arco, a danzare nella speranza di un rito propiziatorio, nell’impeto di una protesta.
Un disco poetico, lancinante, delicato e doloroso, un esordio prezioso, maestoso e molto evocativo.