David Gilmour Luck and Strange
2024 - Sony
#David Gilmour#Rock Internazionale#Songwriting #psych #Songwriting
La chitarra è ovviamente riconoscibile ai massimi livelli, già dall’iniziale Black Cat, poi più prolissa nella bluesaggiante title track, impreziosita per i nostalgici dal recupero di una parte di piano elettrico e organo hammond del defunto Richard Wright. La voce è possibilmente anche maturata e al falsettone dolce e mellifluo si accosta qualche basso arrochito, in verità sempre esistito come contraltare ai singulti quasi bowieani di Waters, da quando i due cantanti hanno assunto personalità riconoscibili, fuori dai cori della prima produzione post-Barrett. Ma si è detto di lasciare da parte i confronti.
Purtroppo in questo lavoro solista del vecchio Gilmour la stucchevolezza si affaccia più di una volta, come nell’enfatica e pomposa A Single Spark, pure non priva di una reminiscenza quasi dark. Se si deve pensare ai Pink Floyd, è plausibile pensare a The Division Bells. Cori femminili, tappeti. E chitarra, chitarra, chitarra. O lap steel, come nella sognante Vita Brevis. Ciò che pare mancare maggiormente è un collante a livello lirico e, forse una direzione precisa. Cosa più evidente in Between Two Points, cover di un brano dei Montgolfier Brothers, cantata dalla figlia Romany, che pare il singolo di una cantante (Xanax?) pop di quelle in voga al momento. Molto più interessante la coheniana (ascoltare per credere, anche nel testo… “my killer, my friend”) I Have Ghosts, in cui la voce impostata sui bassi risulta particolarmente convincente.
Liricamente l’album fa i conti con il tempo che passa, con il passato glorioso, il futuro evanescente.
Nessuna grande sorpresa, ma era così lecito attendere novità rimarchevoli?