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Derive • Voci • In love with possibilities of song

David Garland Conversations with the Cinnamon Skeleton

2012 - Autoprodotto

14/03/2012 di Andrea Rossi

#David Garland#Derive#Voci

Ha senso ad inizio anno puntare su un disco appena uscito, indicandolo tra i propri favoriti dell’annata a venire? Appare un piccolo azzardo, che però vale la pena di correre dato l’entusiasmo prodotto dall’ascolto di Conversations with the Cinnamon Skeleton, lavoro di recente uscita a firma di David Garland, eclettico artista, newyorkese di adozione, purtroppo non abbastanza noto dalle nostre parti.

Per inquadrare il personaggio basti citare l’incipit della sua biografia nel sito ufficiale:
David Garland’s early fascination with adventurous music was confirmed in 1968 when he attended a concert by Jimi Hendrix and had his 13-year-old mind blown by the opening act, England’s Soft Machine.
In fondo, è tutto qui. Da qui si parte per imparare da solo a suonare vari strumenti, mettere su una garage band, poi, da grandicello, passare al piano jazz, suonare in ensemble impro, dedicarsi alla musica da camera, iniziare a scrivere canzoni. E poi è un’attimo andare a vivere a New York e frequentare la scena di downtown, mettere su una band con Bill Laswell, suonare con Zorn, David Moss, Arto Lindsay, Ikue Mori, Michael Gira, Guy Kluvecsek fino a Sufjan Stevens e Sean Lennon, esibendosi nel giro dei locali avant di NYC degli ultimi decenni, dallo Stone al Kitchen.

Conversations with the Cinnamon Skeleton, autoprodotto e disponibile solo in formato digitale su bandcamp,  è il decimo disco di Garland, che ha iniziato nel 1987 con Control Songs ad approcciare il songwriting con una visione personale e laterale in cui confluiscono minimalismo, chamber music, noise, forma canzone e testi elusivi.
Siamo di fronte ad una musica affascinante e diversa, capace di muoversi nell’ambito di forme tradizionali sforzandosi in ogni momento di metterle in discussione, un songwriting semplice nel senso migliore del termine ad un primo livello di ascolto, ma ricchissimo, sofisticato e al tempo stesso molto evoluto e complesso.
Una musica unica, impossibile da inquadrare in categorie note: instant composition la definisce Garland, o control songs, proponendo categorie che servono per definire in qualche modo un approccio unico che insegue un magico equilibrio in una terra di nessuno in cui non ci si cura della banalità del mainstream ma nemmeno ci si nasconde dietro la spocchia di molta avanguardia.
Insomma, un musicista deciso ad essere così libero da regole e pregiudizi da non rifiutare il potere della melodia e dell’armonia nella canzone.

Conversations with the Cinnamon Skeleton è un gran disco, da cui emerge con forza quanto sopra, che regala 13 canzoni sorprendenti ed inafferrabili, essenzialmente acustiche, definite con strutture precise e cura certosina del dettaglio, apparentemente immediate ma capaci di mescolare le carte in ogni istante e sempre più ad ogni ascolto.
Il suono è costruito intorno alla chitarra a 12 corde suonata da Garland, su cui innestano di volta in volta cori, armonie vocali, misurati interventi di piano, archi, fiati, qualche strumento giocattolo, e le preziose apparizioni di guest star come Sean Lennon, Vashti Bunyan, nome di culto del folk british dei ’70, e l’Osso String Quartet.

Il lavoro si apre con la delicata The Long View, che regala una coda finale in cui la chitarra di Garland insegue i lontani vocalizzi della Bunyan, seguita da uno dei brani di punta, Like a Blanket, ballata tesa ed animata da inquietudine wyattiana.
A volte si gioca a un delizioso rimpiattino con la tradizione Americana, Splinter Heart, The Trees Agree, mentre Lie in my Truth è una sorta di chamber blues costruito sul gioco della chitarra a 12 corde e dei fiati suonati da Garland.
Maybe (We won’t wait to long) e Not There Yet aprono a respiri più orchestrali e What I Wanted to Say vira su atmosphere “rock”.
Chiusura magistrale con i dieci minuti di Forever, esplosiva fusione di tutte le anime del disco che conflusicono armoniosamente in una canzone sottile dalle mille impossibili sfaccettature.

Inutile dare riferimenti o categorie, potremmo parlare di avant folk e chamber songwriting, potremmo citare a volte Wyatt, a volte Blegvad, a volte lo stesso Riley, o cogliere a sprazzi qualche sapore di Henry Cow e Rio. Sforzo inutile, perché Garland sarà già altrove, seguendo quei misteriosi ed affascinanti sentieri partiti da Canterbury tanto tempo fa...

Track List

  • The Long View
  • Like a Blanket
  • Lie in My Truth
  • Maybe (We Won’t Wait So Long)
  • What I Wanted to Say
  • Vashti's Dulcitone (Dialogue 1)
  • Just a Small Percentage
  • Not There Yet
  • Lightning Shine
  • Splinter Heart
  • little guitar (Dialogue 2)
  • The Trees Agree
  • Forever