Daniele Brusaschetto Fragranze Silenzio
2011 - Bosco Rec/Sincope/Bar La Muerte/Chewz
Come conferma anche la sua ultima uscita qui recensita, Brusaschetto può essere considerato un cantautore, a modo suo: un cantautore underground ed apostata, che lavora sulla forma canzone esplorando territori ignoti.
La sua è una canzone d’autore mutante perché alimentata da fonti altre, una miscela in cui convivono tracce ambient, elettronica minimal, trip hop, radici blues, echi noise, e perché costruita sui vuoti quanto sui pieni, sul non detto piuttosto che sul messaggio e sul contenuto esplicito.
Capovolgendo la prospettiva si può parlare di elettronica d’autore, che fa leva su campionamenti, glitch e loops per costruire ambientazioni di forte suggestione in cui la voce non guida il brano ma è un ingrediente dell’impasto generale: gli interventi vocali, rallentati e spesso trattati, si traducono in un talk che rilegge il blues in chiave lunare, una declamazione dolorosa, che, nonostante scandisca con cura quasi a la De Andrè, spesso non è di immediata comprensione.
In questo visione “inaudita” e solitaria della canzone d’autore sta ovviamente la sua forza ed il suo fascino.
Con Fragranze Silenzio, Brusaschetto conferma la sua visione intimista e lavora sull’oscurità, rifiutando effetti e virtuosismi per puntare all’essenza disperata dei brani, evitando gli spigoli ed avvolgendo l’ascoltatore con i propri filamenti sonori, senza schiacciarlo. Il suono del disco, per nulla freddo e cerebrale, è costruito su loops elettronici, note basse, ritmiche leggere ma implacabili, interventi misurati di tastiere e qualche corda, che regalano all’insieme compattezza e respiro.
I testi sono drammatici e tesi (Il mio futuro è come il mio presente, una “cosa” in mezzo al nulla), alternano italiano ed inglese, offrono a tratti istanti di speranza posticcia (pensare che il futuro appartiene ai bambini, in qualche modo mi consola, il sole domani), incastrano frammenti pop (bisogna saper perdere, bisogna sapere come perdere), mostrano squarci di insicurezza (trovare gli angoli giusti dove potersi nascondere…al sicuro da ogni attacco) e sensi di colpa (povere madri di tutto il mondo che si ostinano a proliferare parassiti).
La Bambina Intermittente, brano d’apertura dotato di una sensualità drammatica, si insinua nelle pieghe dell’ascoltatore in modo suadente, evocando tracce sfibrate di ambient ed elettronica su uno sfondo di silenzi e rimbombi lontani. Emblematiche del disco sono Ali di Mosca e Cauterization, che mostrano e rinnegano immediatamente schegge di canzone, giocando sull’accostamento e l’incontro di elementi diversi e sulla capacità di legarli e slegarli in un impasto coerente ed efficace. Clouds è un blues profondo e disperato, che incastra tastiere percosse con una ritmica sghemba per sorprendere con un finale più luminoso, mentre Fiori Finti è una traccia solo strumentale che con pochi accordi sospesi regala brevi istanti di riappacificazione. Il brano finale che intitola il lavoro è una solenne e messianica sorta di marcia funebre, in cui il testo è incomprensibile, sommerso da riverberi, onde sonore, e magnetismi che disegnano una marea nera che sale progressivamente inondando lo spazio fino a togliere il respiro.
Un gran disco, che già si candida ad essere uno dei titoli più interessanti della musica italiana tra fine 2010 e inizio 2011, che è impossibile consumare mordi e fuggi ed impone un ascolto dedicato e prolungato. Un musicista che gioca lontano, sopra tutti i limiti e che meriterebbe grande attenzione anche da parte di chi si interessa a mente aperta di canzone d’autore e rock.