In linea col suo credo sghembo (anche musicalmente parlando, quello di Cisco è uno stile variopinto che lo fa assomigliare al cugino italiano di Goran Bregovic), il songwriter del combat folk non si impantana in elucubrazioni in minore. Morde e azzanna piuttosto in un andirivieni di dentro e fuori: un occhio alle libertà obbligatorie – ai diktat inutili, alle cose inutili, persino ai batticuori inutili cui giocoforza ci tocca sottostare –, uno al peso interiore che discende da lì, da questo vivere di e per sovrastrutture. Matrimoni e funerali non è però un disco greve. Tutt’altro. E’ un album che schizza veloce, con musica da (s)ballo e testi antiretorici, che dicono ciò che devono con un sorriso amaro, qualche volta con un ghigno da teschio.
Vi si ritrova per sommi capi il ritratto di una società in nero (Come agnelli in mezzo ai lupi), di una società malata, genuflessa davanti all’imbonitore di turno (Sangue sudore e merda). Affollata di cerchiobottisti-doppiogiochisti, ipocriti, farisei, gran visir delle lacrime di coccodrillo: da un lato lamentano miseria dall’altro ti fregano, se e quando posso (Chiagni e fotti). La società sempiterna di Girarrosto (con tanto Coro delle mondine di Novi a supporto), dei Supermarket (sui lavaggi del cervello di massa via consumismo, cantata insieme a Pierpaolo Capovilla), della serratissima Marasma. Il discorso diventa più ampio (più filosofico, se mi passate il termine) nella title-track, dove il cantautore medesimo con Angela Baraldi rapprendono mirabilmente il senso autentico del nostro stare al mondo: nascere, crescere, riprodursi, innamorarsi (quando e se ci si riesce). Quindi diventare banchetto per i vermi, un giorno.
I toni ridiventano ironici in Per te soltanto (la religione come oppio dei popoli), mentre Piedi stanchi si consuma sbilenca sul piano inclinato di disincanto & memoria. Il nuovo disco di Cisco Bellotti è bello che servito più o meno in questo modo. Nell'orrido mezzo del trend consustanziale a belati cuore/amore e dischi saponetta, Matrimoni e funerali si distingua per la voglia di misurarsi con cose & temi che poi, a guardar bene, danno anche un senso altro all’atto di cantare e suonare. Ancora due cose, in ultimo: la prima riguarda l’hip hop passo-portante de Il tuo altare (feat con Piotta). Un bell’esempio di domande (in)consuete malgrado la deriva dell’uomo contemporaneo. La seconda riguarda la quadratura del cerchio e la chiusura del disco: Cenere alla cenere si intitola l’ultima traccia in scaletta (chitarra di Massimo Zamboni) e…beh non poteva non trattare della Morte, l’autentico rimosso dell’attuale società ridens. Vietati, per una volta, gli scongiuri.