Cccp Altro che nuovo nuovo
2024 - Virgin Music / Universal Music Italia
Altro che nuovo nuovo è il (nuovo) disco postumo – o dedicato ai posteri – dei CCCP, nonostante le premesse e le promesse di non produrre più materiale. E, in fondo, non c’è alcun tradimento: si tratta di un concerto ritrovato, di un’istantanea degli esordi. Molti diranno che è una manovra commerciale, ma, in fondo, un disco è pur sempre un prodotto e la musica è anche commercio.
La registrazione ci porta o riporta a Reggio Emilia, il 3 giugno 1983 nella palestra dell’Arci Galileo. La qualità audio è congrua, anche se la quasi assenza di riverberi rende il tutto un po’ piatto. Non si ha l’impressione di essere presenti al live, ma si è lieti di ricevere questo messaggio in una bottiglia, dopo anni di naufragi.
Gli strumenti sono sacrificati e l’atmosfera è più algida del previsto, ma, in compenso, si capiscono bene le parole. Gli applausi del pubblico suonano lontani, le frasi ieratiche, a volte ancora ingenue, no. Sono ancora quel che devono essere, prima di esperimenti assimilabili come Massimo Volume, Offlaga Disco Pax, o – perché no? – Vasco Brondi. Detto questo, Ferretti non è ancora salmodiante e di certo non suona come David Tibet.
Conta qualcosa notare che le percussioni su Stati di agitazione tirano indietro? Serve rimarcare che la voce, nell’assenza di linee melodiche e nella ecclesiastica mancanza di guizzi interpretativi, risulta piatta, con un tappeto sonoro non ancora raffinato? È necessario dire che il charleston è troppo avanti nel mix? Tutto si dipana immediato “tra diversi colori, trai quali il nero, il verde, il moderno.”
Ci stiamo confrontando col passato glorioso, con la tradizione involontaria, con vecchi vaticini un po’ ingenui e insieme validi, nella loro vaghezza, come oroscopi. O come poesia, per quanto grezza. Specchio dei tempi passati? Visioni del presente e del futuro? E il disco è autocelebrazione o il confronto con un periodo la cui analisi è più che mai attuale?
Gli inediti sono Oi Oi Oi, Onde, Sexy Soviet, più la cover di Kebab Träume dei Düsseldorf D.A.F. (invero parecchio claudicante e trascurabile).
Per il resto, la scaletta è variegata e i brani presentati, pur essendo coevi come composizione, avrebbero poi raggiunto la pubblicazione in dischi diversi.
Il suono è quello che ci si aspetta. Una band senza particolari doti tecniche, ma con personalità e un’urgenza forse acerba e ora adatta alle orecchie dei reduci. Ma i CCCP nascono già classici, si proclamano tardivi o troppo in anticipo, ci consegnano una musica che mette insieme istanze rumorose da centro sociale, Emilia Romagna e Russia sovietica, diario personale e cronaca.
“La necessità di infinito” può passare di moda? “Ci si può solo perdere.”