Cavalera Conspiracy Inflikted
2008 - Roadrunner Records
Appena uscito, “Inflikted” è per l’appunto l’album che fa riabbracciare le due “teste fumanti” dei fu Sepultura, dieci anni spesi separatamente in progetti e talvolta fallimenti, creando una voragine pazzesca tra il terremoto ed il caos delle loro grandi produzioni d’insieme (“Arise”, “Chaos A.D.” e “Roots”). In questa nuova avventura sono affiancati dalla blade guitar di Marc Rizzo (direttamente dai Soulfly) e dal basso di Joe Duplantier (Gojira). Ora, se si vuol credere ad una nuova svolta come lo fu per il tanto detestato “Roots” (anticipatore in un quantum del lì vicino a venire Nu-metal) prenderà un abbaglio clamoroso, in quanto a parte sparuti laps di tribal drumming che sorvolano le dieci tracce, il latrato ringhioso metal che sbrana l’intero album è ricollegabile alle “maestose” ma già lette pagine del trash versato a death, dove però si annota una ristrutturata libido nell’idrofobìa liricale di Max e nei suoi powerchord a maglio che spiaccicano industrialmente.
A carte scoperte, senza rimescolamenti di sorta, “Inflikted” bastona, come d’antonomasia, di brutto. Ogni ingrediente del metal estremo è al suo originale step d’impeto, non una virgola in più o in meno: registrato agli Undercity Studios di Los Angeles con la supervisione di Logan Mader ex chitarrista dei Machine Head, il work però registra una stratificazione molto più buia e pesante, ansiosa (“The doom of all fires”), claustrofobica (“Hearts of darkness”, “Black Ark”), una sistematica e lancinante distruzione programmata, selvatica e prepotente che fa monconi ad una analisi approfondita circa le battute qui o le pause là.
Un trash metal questo dei fratelli Cavalera che non si fa mancare nulla, blasonato di disosso dissacrante, speed e turbolenza mixati in un sound diabolico/nevralgico che in tanti aspettavano e che in molti se ne cibano; altresì c’è da aggiungere che da questa “fraterna rimpatriata” qualcosina di leggermente rivolto in “avanti” ci si aspettava, e che forse la strada “indigena” intrapresa e poi smarrita in “Roots” poteva essere la chiave di volta di una evolutivo outing stilistico.
Pazienza, per il momento può andar bene anche così, il prodotto nello stilema primordiale ci sta dentro alla grande e le “ Fiere di Belo Horizonte” rispolettano “quel” rinnescato obice metallized che tutto sommato non si può eludere, screditare, ignorare, men che meno esorcizzare anche perché, toccare ferro nei loro set high voltage può essere fatale.