Caroline Rose The Art Of Forgetting
2023 - New West Records
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Testimonianza del compromesso fra generi è il trittico iniziale, lunga intro all’intero lotto, a coniugare un verbo stilistico di materia bedroom/indie-rock e strumentazione ridotta ai minimi termini. Canoni che rispecchiano alla perfezione i “sintomi” da diamante grezzo, e mettono in musica poetica bucolica a soffiare fra i granai (in quelle distese di campi in cui Niccolò Fabi disquisisce di “filosofia agricola” col garbo e la finezza di scarni arrangiamenti).
Raramente i ritornelli esondano nella spuma catchy di Loner e Superstar (vertice assoluto, quest’ultimo, della Nostra). Sono solo due gli episodi, Everywhere I Go I Bring The Rain e Tell Me What You Want, in cui la Rose imbraccia una chitarra pirotecnica e orientata all’inno, sostenuta sporadicamente dalla spinta di qualche accordo di synth. A tal proposito, qui latitano le tastiere, elemento distintivo assai presente nei due precedenti dischi (caso isolato rappresentato dal bellissimo e disinvolto saliscendi The Doldrums, abbarbicato a un’arpa e al suo sintetico arpeggio, a sgomitare in discesa e in risalita fra voci filtrate ed echi in reverse).
Va detto che una Someone New non c’è, il trascinante panegirico dal guizzo felino e irresistibile. C’è però l’intensa scrittura che non scorda il passato, l’essenziale fingerstyle d'alto lignaggio, fra Karen Dalton e Lucinda Williams (sintassi più che mai aderente ad America Religious e I Will Not Be Afraid, opere prime della Rose fedelmente ancorate a quel dogma d’autore), qui e ora in rilettura aggiornata, pillole di placidezza in lo-fi e ritornelli che vien voglia di abbracciarli: Stockholm Syndrome, Love Song For Myself, Jill Says e Where Do I Go From Here? sono ebbri di moderno e brioso cantautorato dall’alto tasso di intimità, che si addensa e infittisce in superficie, là dove affiorano versi miti e rassicuranti (accarezzati dalla tiepida bonaccia di un cantato a far la spola fra Alice Phoebe Lou e Faye Webster).
Salvo le eccezioni già vagliate, suona proprio così The Art Of Forgetting, come già annunciato dalla terna in ouverture, anima agreste che vaga per i prati, mai smarrita, piuttosto lucidamente coinvolta a lambire le corde emotive più recondite. Aridità solo apparente, in realtà collosa emulsione per lo spirito.
In quel detto e non detto, il nocciolo è chiaro: Caroline Rose, artista un po’ a dieta di elogi, debitamente dista da riflettori, sensazionalismo critico e placet cerimoniosi; e grazie al cielo, in quel privato alveo ben si arrangia a brillare di luce propria. Gran talento che scrupolosamente plasma e confeziona un così fulgente cantico, di purezza adamantina e contagiosa vitalità.