Bonnie `Prince` Billy Keeping Secrets Will Destroy You
2023 - Drag City
Dopo una serie di dischi un po’ discontinui, forse per via della produzione quasi inarrestabile, con questo Keeping Secrets Will Destroy You il buon vecchio Principe (che, confermerà chi lo ha visto dal vivo nel recente tour, in realtà pare non avere età) torna, possibilmente, pur senza presentare grandi sorprese, a scrivere uno dei suoi classici futuri. E lo fa senza paura di ricalcare strutture in parte anche prevedibili (primo, quarto e quinto grado la fanno da padroni, armonicamente), con una chitarra meno “strimpellata” di un tempo ma comunque non rifinita, come, per dire, nell’omaggio postumo alla sua prima band in salsa Nashville che fu Bonnie “Prince” Billy Sings Greatest Palace Music (2004), un disco da alcuni ritenuto troppo convenzionale, ma assolutamente splendido a livello di arrangiamenti, produzione e interpretazione vocale.
L’iniziale Like It or Not ci dice, senza troppi giri di parole, che la vita è ciò che è, ma che non può essere diversa. L’accettazione non è facile, ma alla fine si arriva a un fatalismo da reduce: “And I like it.” Nel frattempo, un fiddle sta probabilmente dicendo l’opposto, ricordando lo spirito dolente del Country Folk. Behold! Be Held!, se non fosse per l’organo, potrebbe far parte del materiale di Masters And Everyone (2003). La tonalità maggiore svolge la sua funzione. Di nuovo, pare un incoraggiamento non ipocrita a superare quell’oscurità di cui lo stesso Billy è stato trai cantori più credibili. Quando entra il sax, non si può che pensare che lo scherzo sia serio.Forse i cori femminili appesantiscono un poco successiva Bananas, mentre Blood of the Wine, con il suo incedere serrato pronto a stemperarsi in un’apertura in tre quarti con mandolino bluegrass, è come un compendio di inquietudine e dolcezza.
Le sorprese arrivano passata la metà dell’album, con il bordone di Trees of Hell, brano che è quasi folk apocalittico. Crazy Blue Bells, con il tappeto d’archi e le onomatopee, ha un che di cinematografico. Nella catastrofe troverai il tuo vero io, ci dice, più o meno. Ma tutto andrà bene. Nella finale Good Morning, Popocatépetl, dal nome del vulcano, ancora in attività, situato vicino a Città del Messico, la voce si sdoppia: una linea è affidata al suo solito tono quasi singhiozzante, un’altra è adagiata su bassi non cavernosi ma comunque tenebrosi, in un brano che però parla (ancora!) di una possibilità di felicità. E così finisce il viaggio tra porch song intimiste e ballate da pianura più o meno desolata, tra presente e passato, tra malinconia e speranza. Con un album che conferma una vena intatta e una personalità solidissima