Si aprono le danze, o meglio le evoluzioni ( termine dal “doppio significato, antropologico e ginnico – musicale” citando lo stesso Maglietta) con By my side, uno ska – groove al rallentatore. Segue Sonno, mantra metropolitano dalle sfumature jazz. Lo stesso può dirsi per Folla, sebbene più venata di rock’n’roll grazie alle pennellate di chitarra. A questo punto emerge quello che, a seconda dei gusti, può essere considerato il pregio o il limite del disco.
Il lavoro è molto omogeneo. Trasuda fisicità, calore e passione. Tuttavia questo oscillare tra pizzichi di chitarra, parole sussurrate, narrate più che cantate, e languore da black music (Immagina è un esempio) può anche risultare monotono per chi non sia un feticista dal genere. E viene così meno l’obiettivo di “far muovere”. I virtuosismi e le puntinature dub più che raccontare “la narcosi da iperstimolazione” dei tempi moderni finiscono con l’indurla in orecchie che non siano già devote.
Se un disco troppo variegato rischia di essere frammentato e senza direzione, uno troppo compatto può risultare indigesto. Il limite tra omogeneità funzionale al messaggio che si vuol trasmettere e assenza di soluzioni di continuità è molto sottile e di difficile identificazione.
Un lavoro che tende al concept album è come i cioccolatini di Forrest Gump: non sai mai quel che ti capita, nonostante le buone intenzioni.