Against Empire<small></small>
Jazz Blues Black • Jazz • avant-jazz, rock, dub, ambient, experimental, sub-bass

Bill Laswell Against Empire

2020 - Web Release (M.O.D. Technologies | (CDMOD00100) | US Fusion

01/05/2020 di Gianni Morelenbaum Gualberto

#Bill Laswell#Jazz Blues Black#Jazz #Pharoah Sanders #Herbie Hancock #Jerry Marotta #Peter Apfelbaum #Chad Smith #Hideo Yamaki #Satoyasu Shomura #Adam Rudolph

L’opera ormai estesissima di Bill Laswell sembrerebbe polimorfa e disomogenea, dispersa con uguale creatività in molteplici direzioni, percorsi e rivoli: trattandosi, in realtà, di un compositore che, con grande istinto, si veste e traveste in molteplice guisa (bassista, produttore, alchimista sonoro), la sua cifra è invece inequivocabilmente una e unica, percepibile in ogni opera da lui ideata o cui abbia partecipato in qualsiasi modo. Vi è, insomma, una firma inconfondibile, che è fatta di plurimi indizi e tracce, come una sorta di Pollicino che ogni volta lascia una scia di sassolini o di briciole che permette di giungere a destinazione, che si tratti di creazioni con musicisti a lui abituali e vicini (è il caso di “Against Empire”) o di produzioni e partecipazioni in altri ambiti (e si sa che l’elenco è estremamente folto).

L’arte di Laswell è combinatoria e intuitiva, sa unire elementi disparati e apparentemente incompatibili per trarne sincretismi che spesso e volentieri non esistono in natura ma sgorgano direttamente da suoi interventi che, pur sembrando talvolta arbitrari e manipolati, sanno assumere una naturalezza e una logica linguistica che fanno sì che sembrino del tutto inevitabili. I collettivi che egli guida, come in questo caso, hanno l’infallibile istinto dell’acrobata nel percorrere tracciati che attraversano più generi : i materiali ora si fondono, ora si affiancano, ora si separano senza che si avverta una frattura, uno iato, un’esitazione in questa glossolalia che sembra emergere e scomparire ripetutamente contro uno sfondo che è costantemente scuro e primordiale, dal respiro cosmico dettato da pennellate di suono, sciabordii di tastiere, baluginii di percussioni e una pulsazione che si compone e scompone grazie a quattro batteristi (Jerry Marotta, Chad Smith, Hideo Yamaki  e Satoyasu Shomura, quest’ultimo giovane virtuoso componente del popolare complesso giapponese [Alexandros]). Vi è un forte senso pittorico in questo assemblarsi di materiali polverizzati e minimali, montati con un acuto gusto timbrico e una poli-lessicalità (cara certamente a un percussionista particolarmente efficace e pertinente come Adam Rudolph) che scivola da un contesto all’altro con l’aiuto di brevi  passaggi, corti interludi affidati alla batteria, alle percussioni, a stralci processionali delle tastiere (“Shadowline”) o, come accade in “Tabu”, all’essenziale, quasi laconico ma iridescente piano elettrico di Herbie Hancock, particolarmente efficace nel tessere una vera e propria filigrana in “The Seven Holy Mountains” .

Un particolare rilievo è affidato al sassofono tenore di Pharoah Sanders,  corposo, torrenziale ma meno verboso che in altre occasioni: in un patchwork musicale in cui tutti sono solisti e comprimari allo stesso tempo, la sua voce al tenore e al soprano emerge costantemente dalla coralità circostante con accenti spesso sorprendentemente funky. Ché, in definitiva, il “sentire” del funk è quello che più si fa avvertire nell’intessersi di “avant-jazz, rock, dub, experimental, ambient, sub-bass” (come commenta lo stesso Laswell), e non stupisce la bella, ancorché trattenuta idiomaticità di Hancock, particolarmente a suo agio in un’opera che sembra voler rileggere, alla luce di una sensibilità tutta contemporanea, il tribalismo poliritmico e scuro del periodo elettrico davisiano, il cui richiamo è spesso avvertibile negli incroci costanti di batteria e percussioni, nel gusto per una policromia fonica che si staglia affilatissima, luminosa e cangiante contro il brulicante brusìo corale che anima lo sfondo (prezioso è non solo il lavoro di Rudolph e dei batteristi, ma la trama di raccordo, di commenti, di interiezioni rifinita da Peter Apfelbaum e da Laswell, che si conferma, semmai ve ne fosse stato bisogno, maestro difficilmente eguagliabile nella creazione di microcosmi sonori, dotati di misteriosa vita propria). Intitolato come un noto volume del 1995 di Michael Parenti sullo strapotere dell’impero economico e politico americano, “Against Empire” assume per Laswell il valore di un manifesto che forse non poteva trovare momento storico più adatto e drammatico per dichiararsi:

AGAINST the EMPIRE of LIES

AGAINST the ANTI-MUSIC of MEDIOCRITY

AGAINST COMPLACENCY and COMPROMISE

AGAINST SHAMELESS and UNINFORMED PRIVILEGE

AGAINST INHERENT RACISM DIRECT or INDIRECT, KNOWN or UNKNOWN

AGAINST EMPIRE

 

Musicians:

- Bill Laswell | bass, effects

- Pharoah Sanders | saxophone

- Peter Apfelbaum | saxophone, flute, keyboards

- Herbie Hancock | electric piano

- Jerry Marotta | drums

- Chad Smith | drums

- Hideo Yamaki | drums

- Satoyasu Shomura | drums

- Adam Rudolph | percussion

Track List

  • Golden Spiral. 11:20
  • Tabu. 16:16
  • Shadowline. 15:05
  • The Seven Holy Mountains. 17:56
  • Total Time: 60:38