White Hat<small></small>
Americana • Other Americans

Big Harp White Hat

2011 - Saddle Creek

28/09/2011 di Andrea Valbonetti

#Big Harp#Americana#Other Americans

Il 13 settembre scorso è stato pubblicato per la Saddle Creek di Omaha, Nebraska, White hat, l’album d’esordio dei Big Harp che si candida come uno dei dischi più interessanti del 2011 di rilettura ed esplorazione dei generi musicali della tradizione americana.
Basta guardare la grafica della copertina e del booklet per capire le coordinate all’interno delle quali si muovono le undici tracce scritte e suonate dal duo, marito e moglie, formato da Chris Senseney (voce, chitarre, tastiera) e da Stefanie Drootin Senseney (cori, basso) e prodotto dal bassista dei Rilo Kiley.
È musica da saloon, da polvere e sabbia tra i denti, da hobos solitari, da migranti con un fagotto di ricordi tristi e di rimpianti sulle spalle. Nonostante il disco sia stato registrato in pochi giorni in California, la matrice di profondo Midwest e l’anima delle Great Plains pervade le storie dei personaggi descritti dalla voce calda ed un po’ arrochita di Chris Senseney.

White hat
ha una struttura circolare: la prima canzone, che si intitola Nadine, racconta gli amori sfortunati di una giovane ragazza che per seguire i suoi sogni va in California, ma scopre solo il lato amaro della vita, mentre l’ultima canzone, che si intitola Oh Nadine, è una lettera del padre che le racconta gli ultimi sviluppi della vita del suo paese e spera di poterla rivedere presto, illudendosi che il suo silenzio derivi dal fatto che la fortuna le stia sorridendo. Tra questi due estremi di illusioni per un futuro migliore e speranze disilluse dal presente ci sono una serie di ritratti di personaggi che sembrano usciti dai libri di Steinbeck o del più contemporaneo Lansdale.

Everybody pays
è un brano consolatorio che, con un riff acustico ripetitivo e semplice, ci dice che prima o poi la ruota gira per tutti. Goodbye crazy city è una ballata in puro stile folk che parla di un’anima inquieta delusa dalla vita di città, in apparenza scintillante e piena di possibilità, ma in realtà feroce e spietata con i sognatori e i deboli. All bets are off è un pezzo graffiante e ruvido in stile country rock perfetto per un saloon diroccato con segatura bagnata di alcool e bicchieri di whisky che si scontrano sul bancone. Some old world I used to know è una canzone lenta e malinconica da falò notturno con un gruppo di vagabondi che, dividendosi il poco che hanno, si raccontano le loro storie di fallimento. Out in the field è un blues carico di tensione, forza e rabbia che sembra richiamare sia nelle immagini, sia nella musica un rito voo-doo.

Queste storie di marginali conquistano grazie alla capacità di dosare i
principali ingredienti del folk, del country, del rock e del blues in modo da toccare sapientemente le corde del cuore dell’ascoltatore.
White hat è un gran bel disco, magari non originale, ma sicuramente sincero, sentito e ricco di buoni sentimenti. Basta chiudere gli occhi sulle note di una delle canzoni, ad esempio Here’s hoping o Let me lend your shoulder, e per magia si viene trasportati sulla sedia a dondolo di una veranda con la palla di fuoco del sole al tramonto proprio di fronte ai nostri occhi, che disegna ombre da interpretare sulle rocce rosse all’orizzonte.
È un posto dal quale non si vorrebbe più tornare, fidatevi.



Track List

  • Nadine
  • Everybody pays
  • Goodbye crazy city
  • Steady hand behind the wheel
  • All bets are off
  • Some old world I used to know
  • Here´s hoping
  • Let me lend my shoulder
  • White hat
  • Out in the field
  • Oh Nadine