Geoff Barrow è la mente dei Portishead, insieme a Beth Gibbons, ed è il proprietario della Invada, etichetta promotrice dei Beak>, la nuova creatura di Barrow. ´Recordings 05/01/09 > 17/01/09´ è un esordio ispirato, ricco di riferimenti musicali importanti e con una spiccata attitudine ad un sound cupo e claustrofobico, in cui il canto spesso si trasforma in un’oscura e sinistra arringa, come se Ian Curtis sussurrasse melodie dall’oltretomba. L’album potrebbe benissimo risalire al periodo aureo della vena dark della new wave, a cavallo tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80, motivo per cui risulta praticamente impossibile non tirare in ballo un gruppo come i Joy Division (ma anche alcune band krautrock) quale termine di paragone. Vero è che, in questi tempi di new wave revival, i JD sono un rimando inflazionatissimo e citarli risulta quasi banale. E’ per questo che occorre specificare che i Beak> non si limitano a trasportare su disco la lezione dei maestri in modo pedissequo, ma, se possibile, ne aggiornano la potenza espressiva. ´Pill´ è un lugubre down-tempo il cui cantato si avvicina ad una spettrale litania (la trama della tastiera ed i cori in falsetto nel ritornello sono da pelle d’oca!). ´Ham Green´ ha la stessa sfacciata ostinazione di ´Pill´ nel reiterare la medesima linea di basso e chitarra per l’intera durata del brano, il quale, verso la metà, si carica di primitive distorsioni e di sporcizie sintetiche. Questo album possiede quello che Glen Johnson definisce il ´senso dello spazio´. Riporto un breve stralcio d’intervista al leader dei Piano Magic: alla domanda postagli da Ambrosia J. S. Imbornone (redattrice di Mescalina, nda), riguardo cosa le band di oggi potessero imparare dai Joy Division, Glen risponde ´Il senso dello spazio. I Joy Division erano minimalisti. Raramente c’è mai del superfluo nei loro dischi. Quello che ascolti è quello che suonavano e con pochissime sovraincisioni. E l’ascoltatore può perdersi in tutto quello spazio´.
Prendete la traccia numero dieci di ´Recordings 05/01/09 > 17/01/09´, ´The Cornubia´; beh, ritengo sia una buona esemplificazione e concretizzazione del pensiero di Johnson: una slow ballad nella quale il concetto di saturazione sonora sembra distante anni luce, il mood è in linea con il resto dell’album, ma nel ritornello la chitarra distilla poche note ´liquide´ che squarciano il buio del verse.
Il rispetto del vuoto, quale assenza di suono, non impedisce ai Beak> di lanciarsi in ritmiche più serrate come nella seconda parte di ´Backwell´, in cui il basso è un palpitante battito cavernoso che si fonde alla perfezione con l’artificiale serpentina sonora prodotta dalla tastiera. Lo stesso si può dire per ´Iron Acton´, dove però, c’è una maggiore variabilità melodico-strutturale.
´Dundry Hill´ ha un incedere funesto e terrificante, la musica che ascolteremmo se aprissimo ´La Configurazione del Lamento´, la scatola che spalanca le porte dell’inferno nel film ´Hellraiser´ (diretto dal geniaccio dell’horror Clive Barker) e consente il passaggio nella realtà ai Cenobiti, i demoni che sottopongono ad atroci torture chi li ha chiamati.
´Recordings 05/01/09 > 17/01/09´ non è un disco di facile assimilazione, ma è indiscutibilmente potente, di estremo spessore ed anche un ottimo strumento per far conoscere alle nuove generazioni di musicofili un sound, quello della dark new wave, che è una fucina d’ispirazione inesauribile.