Andre Williams I Wanna Go Back to Detroit City
2016 - Bloodshot Records / IRD
Se pensate al funk e al soul, beh, lui è certamente stato uno dei pionieri di genere. Ne ha fatte e viste di tutti i colori, ha scritto per un sacco di gente e grazie alle sue canzoni qualcuno è diventato anche famosissimo. Per esempio aiutò Stevie Wonder nella stesura dei suoi dischi d'esordio, così fece per Ike e Tina Turner. Quando la black music prese la strada lisergica lui era lì con gli indimenticabili Funkadelic e insieme i Parliament.
Poi però arrivarono la galera e la povertà a causa dei suoi problemi con la droga e un conseguente periodo di fermo. Ma per uno come Williams è difficile non reinventarsi, così sul finire degli anni novanta pubblica un disco country (un disco country?) per la Bloodshot Records, con la quale inizia il sodalizio. Cambia religione e dopo qualche anno riprende a fare soul music, torna in tour sui primi anni duemila.
Ce ne sarebbero molte da dire su questo personaggio, tra realtà e leggenda, ma già un prodotto come questo parla da solo. E' un album in cui l'ormai simpatico vecchietto si racconta, e lo fa ancora con un carisma eccezionale e la giusta energia.
Più che cantati, i brani di questo lavoro sono degli spoken. La filosofia è molto blues sotto questo aspetto. La musica torna per lo più al periodo Funkadelic e infatti, per poter fare un bell'autoritratto, l'autore si affida un po' a quel tipo di loop. Costantemente il motivo si ripete, così fa il concetto testuale, lo fa scorrere su tutto il corpo di chi ascolta e, una volta entrato in circolo, si incomincia a ballare.
La base è scarna di artifici su quasi tutta la track-list, il funk è tribale, ma ecco, non pensate al primo Gill Scott-Heron. Più che poesia, più che ritmiche volte all'hip hop, questo è un romanzo leggero da prendere a piccole dosi. Un riff di chitarra in repeat e una batteria in quattro (top song: Hall of Fame) sono quanto basta per una buona connessione con chi ascolta.
E quando serve, la voce di Williams si fa ancora sentire: bella prova graffiante quella su Detroit (I'm Glad I'm Stayed) in cui l'artista si diverte a mettere in ripetizione una ritmica di distorsioni che sfociano nel rock.
Arrangiamenti zero, canzoni dritte che di più non si può per un cd nudo e crudo scritto da un guru del genere, ancora in forma da un punto di vista discografico e che si sa prendere in giro (Meet me at the Graveyard, semplicemente wow).
Un disco così provoca simpatia e mentre lo si ascolta, già alla terza traccia (What Now?), non si può non sorridere e apprezzarne l'intelligenza.
I Wanna Go Back To Detroit City succede quando le vecchie volpi della musica tornano sulle scene e ti fanno capire la differenza tra chi ha inventato un genere e chi poi ne ha seguite le orme. Un'opera divertente, riflessiva e totalmente svaporata insieme, da ascoltare, oltretutto, per il rispetto di uno dei padrini della funky music.