![A Noite e Tom<small></small>](/foto/musica/recensioni/big/7312-alessia-martegiani-max-de-aloe-massimiliano-coclite-a-noite-e-tom-20250209215216.jpg)
Alessia Martegiani, Max De Aloe, Massimiliano Coclite A Noite e Tom
2024 - Barnum For Art
#Alessia Martegiani, Max De Aloe, Massimiliano Coclite#Jazz Blues Black#Jazz
Basato su brani del grande Tom Jobim, padre della bossa nova ma non solo, il lavoro offre un’interpretazione che estrae l’essenza del riferimento per un ascolto raffinato, diretto e personale. Gli artisti sottolineano una situazione da notturno, con tutto quello che implica il concetto; incontro, intimità, delicatezza.
Il patrimonio di Jobim si conferma particolarmente adatto a questa progettualità per un gran numero di ragioni. All’apparenza sembra tutto facile e, ad un primo approccio, la cifra del disco risulta essere la piacevolezza, che comunque non è poco. Ma, se si dedica un minimo di attenzione, quello che si può cogliere è molto di più.
L’originalità armonica, che ricorre ad accordi non immediati, le melodie contenute in intervalli limitati sfruttati al massimo, la morbida fluidità ritmica, i legati, le strutture lineari e la sapienza agogica restituiscono un’estetica impressionistica, leggera e ricca di sfumature.
Il canto recita in enjambement, con la frase che termina oltre la fine della battuta; l’effetto è quello di distendere la narrazione, rifuggendo dal tradizionale malizioso meccanismo del ritornello e della cadenza per un facile ricordo del tema. Si evoca, non ci si limita a intrattenere.
L’andamento è del tipo moderato, spesso rallentato verso l’adagio, permettendo di assaporare ogni passaggio nella sua particolarità. Qui gioca molto la voce dell’armonica, che replica in alternanza il canto, sostenuto dal piano Rhodes, scelta che risulta azzeccatissima per la resa sonora in trame basate su poche note e che quindi esaltano l’effetto poetico ricercato.
I brani sono, per la maggior parte, estratti dal periodo di fine anni ’50, con riferimenti alla storica collaborazione di Jobim con il poeta Vinicius De Moraes, con qualche escursione all’inizio degli ’80 sempre mantenendo una coerenza di fondo.
Fin dal brano di esordio (originale del 1958) le regole del gioco sono chiare. Ritmo rallentato rispetto al pur moderato della partitura originale, tastiere essenziali con note mantenute e voce non caramellosa, addirittura quasi francese. Ritmo indugiante, linee ascendenti e discendenti dell’armonica che chiariscono la melodia di fondo e conclusione con lacerti del tema base, a conferma del metodo “riduttivo” delle esecuzioni.
In Fotografia (1959) si apprezza uno schema più evidente della bossa, grazie al ritmo in questo caso più marcato, che permette anche una deriva verso colorazioni jazz. Da apprezzare il duetto strumentale tra armonica e tastiere, strettamente interallacciato con risultato decisamente sinergico.
Quando ci si riferisce alla musica brasiliana è inevitabile richiamare l’elemento di “saudade”, difficile da definirsi con precisione e schematismo, comunque basilare nella poetica di Jobim. In questo caso questo aspetto pare risaltare nel senso sia delle cose perdute, interrotte, sia in quelle acquisite ma potenzialmente fragili e transitorie.
Tra carioca e fado, francese e latino, l’affresco è complesso nella sua semplicità; da cogliersi con attenzione ma senza sforzi, lasciandosi trasportare in modo partecipativo a quel senso di incontro offerto dagli artisti.
A conclusione una menzione di encomio per la discografica Barnum For Art che, ancora una volta, si conferma come uno dei soggetti più meritevoli per l’attenzione trasversale ai diversi patrimoni musicali, con una rara cura alla qualità della registrazione, anni luce rispetto alle pestifere attitudini “casual” in stile Spotify.