Ada Montellanico feat. Giovanni Falzone Canto Proibito
2024 - Giotto Music
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Ada Montellanico, cantante romana dalle molteplici inclinazioni, si affida a Giovanni Falzone, forse la migliore tromba sul panorama jazz nazionale attuale, per una serie di revisioni di brani tratti dal patrimonio della seconda metà del ‘600 – prima metà del ‘700, sapientemente virati a una logica moderna.
Con loro ci sono Filippo Vignato (trombone), Jacopo Ferrazza (contrabbasso) e Ermanno Baron (batteria) per un progetto di alto spessore culturale, sia per i riferimenti, sia per le creazioni.
I primi sono piuttosto evidenti. Si pesca dal repertorio di Scarlatti, Strozzi, Cavalli, Handel, Carissimi, Cesti e Caldara, tutti compositori protagonisti dell’epoca sopra citata.
L’aspetto creativo sta negli arrangiamenti a cura di Falzone, che riesce a sintonizzare perfettamente uno spirito di quattrocento anni fa con una sensibilità contemporanea, mantenendo anche un umore “popolare” che tiene lontana qualunque retorica di archivio.
All’ascolto risulta evidente la naturalezza con la quale si mantiene la linea delle partiture originali facendole evolvere, in modo del tutto spontaneo, verso accenti afro-americani e riflessi world che risultano quasi organici alla matrice base.
Nelle sue elaborazioni Falzone sfrutta bene le potenzialità base del genere. La logica del basso continuo, con la flessibilità armonica che concedeva all’esecutore, permette evoluzioni del tutto compatibili con una chiave improvvisata (elemento peraltro intrinseco nella musica del ‘600, molto più libera rispetto agli schemi geometrici della fase classica).
A questo si aggiunga il fatto che il combo è senza piano e, in generale, senza strumenti strettamente armonici. Il gioco quindi si deve sviluppare con sintonie tra i diversi soggetti il cui sovrapporsi riproduce gli schemi verticali con voci differenziate, arricchendo notevolmemte il risultato timbrico. In altre parole, non solo voce e clavicembalo.
Altro elemento importante risiede nelle modulazioni ritmiche, favorite in questo caso dalla presenza di un basso potente e di una batteria che non sconvolge, ma colora. Inoltre la presenza di metriche dispari consente agli artisti di offrire un senso a tratti quasi folk che allontana sensazioni da topi di biblioteca…
Il canto di Montellanico ricorda un certo approccio di Cecilia Bartoli, mezzosoprano protagonista di molte interpetazioni non rigidamente ortodosse del repertorio barocco, mentre il combo riesce sempre a mantenere un mood più vicino all’improvvisazione che alla rigorosa lettura. La logica jazz sta anche nella struttura dei brani, nei quali il tema base viene sempre alternato a specials in generale ad appannaggio degli ottoni (tromba e trombone) che, a tale riguardo, risultano splendidamente compatibili.
Il disco meriterebbe una guida all’ascolto per la ricchezza dei particolari che offre. Nella logica di una recensione è però bene limitarsi a qualche cenno per brani esemplificativi.
O cessate di piagarmi, di A. Scarlatti (1683), è un lamento in tempo dispari accelerato nell’arrangiamento, reso vivace dall’impro sostanzialmente monodica della tromba e dalla ritmica raddoppiata. Il canto vira allo scat o a una verve da danza popolare confermando quelle coloriture contemporanee di cui si parlava.
Canto proibito, unico brano originale, manifesta cambi ritmici e aspetti contrappuntistici che lo rendono particolare, mantenendo la sintesi tra serio e popolare, tenuti coerenti da una visione che ben capitalizza il patrimonio culturale dei musicisti. Qui è evidente la maggior libertà degli artisti che in qualche modo non sono legati al canovaccio di una partitura originale. In bella evidenza il trombone e il canto scat.
Delizie contente / Delizie, di Pier Francesco Cavalli (1649), è un brano con linea melodica semplice, piana e quasi modale. Mancando il piano, il tutto è distribuito tra gli altri strumenti a favore di un’esecuzione aperta. Gli special strumentali virano al blues, mood adatto allo spirito del brano, mentre le fasi cantate sono monodiche anche nell’impasto con gli strumenti. Falzone pare che parli con il suo strumento, mentre Ferrazza è particolarmente illuminato nelle varie fasi del suo ruolo (sostegno o solista).
Piangerò la sorte mia, di Handel (1724), è decisamente più in tensione tra dramma e rassegnazione, in coerenza al ruolo di Cleopatra nell’opera Giulio Cesare in Egitto. Il set up strumentale posiziona il tutto su regole più basse che colorano di jazz l’aria originale, nella quale le tensioni sono trasposte su un aspetto ritmico e di colore più che dinamico. Il canto va dall’aria a un’estetica di canzone moderna, meno lavorata, ma più diretta.
Numerosi sarebbero i dettagli ancora da evidenziare, ma, in chiave di sintesi conclusiva, va sottolineato il ponte che gli artisti costruiscono tra un patrimonio di secoli fa e il giorno d’oggi, mantenendo gli ingranaggi perfettamente sincronizzati e confermando che i classici sono tali quando sono compatibili con tutti i linguaggi.