AB Quartet I bemolli sono blu
2020 - TRJ records
I primi due sono musicisti dalla formazione classica mentre gli altri compagni vengono dall’accademia jazz ed insieme uniscono le forze in questo progetto ispirato alla musica di Claude Debussy; il nome scelto per il lavoro è indicativo al riguardo dato I bemolli sono blu rappresenta il titolo di un epistolario di Debussy che copre un periodo piuttosto importante della sua vita, dal 1884 al 1918, a testimonianza degli aspetti più riservati e privati dell’esistenza del musicista francese.
Che Debussy sia uno dei riferimenti più interessanti per un certo tipo di jazz moderno non è un mistero e si fonda su ragioni concrete. La passione di comunicare per simboli, l’uso di scale non sempre pienamente tonali, l’utilizzo di strutture aperte, le modulazioni delle dinamiche, la ricerca di timbri / colori specifici sono alcuni elementi che rendono fecondi i rapporti tra il lascito del francese e l’eredità raccolta dalla musica improvvisata contemporanea.
Da questo punto di vista il lavoro in questione rappresenta un esempio interessante di quanto si può creare su queste basi. L’uso del verbo “creare” è voluto perché non ci troviamo di fronte ad una riesecuzione o ad un’interpretazione delle partiture originali; queste intervengono in un continuo “nascondino” alternandosi a momenti completamente autonomi, perfettamente integrati nello schema dell’ “hide and seek” (o dell’ “in and out” se si preferisce).
Una paio di esempi per chiarire il concetto.
Moon: ispirato al celebre Clair de Lune mantiene vagamente la base melodica ma si stacca per via dell’arrangiamento a tratti jazz e a tratti leggermente cinematico. Presenta accenti ritmici più pronunciati, sottolineati soprattutto dal punteggio del basso e dal crescendo che accompagna il brano sostituendo le modulazioni dinamiche originali. Anche la gamma delle altezze tende ad ampliarsi. L’effetto è quindi meno impressionistico e più narrativo, più diurno che notturno.
Serenade: la partitura originale è in ¾ con schemi che prevedono dinamiche “leggere e graziose” o “trattenute”, scandite da ostinati alternati a brevi frasi melodiche inserite in una struttura aperta. La versione del quartetto, che è quella utilizzata per promuovere il disco, prevede tempi più veloci e metriche variate, colorazioni più terrene indotte dal clarinetto basso e dal basso oltre che ovviamente dalla batteria. Il senso tradizionale della serenata a tratti vira a toni vagamente orientali o latini proposti su di un piatto ritmico più marcato, enfatizzato anche da un certo uso degli arpeggi. Arrangiamento (o ricomposizione) tra jazz e etnica molto riuscito.
Altri momenti, come The Five Notes, offrono dialoghi più obliqui e spezzati sia timbricamente che ritmicamente. Sembra una miscela tra Fra Martino Campanaro, vaudeville, swing e creative jazz. Il tutto verso un senso di divertissement che può riportare alla memoria, anche se lontanamente lo spirito di certi “Scherzi” dell’artista francese anche se con una verve meno cameristica.
L’analisi comparata potrebbe anche continuare ma non aggiungerebbe molto alla sostanza di fondo. Un cenno tuttavia va riconosciuto alla perizia degli strumentisti, soprattutto per la precisione degli interventi e degli intrecci e per i bassorilievi che ciascun solista riesce a creare con i propri interventi.
Un disco stimolante ed interessante sia per un ascolto diretto che per un’analisi comparata con le lezioni del grande mentore. Una chicca culturale.