
A Sound In Common feat. Peter Bernstein A Sound In Common feat. Peter Bernstein
2023 - GleAM
#A Sound In Common feat. Peter Bernstein#Jazz Blues Black#Jazz
Della Grande Mela si avverte tutto il fascino urbano, l’attraente sound alla Soul Note che ha marcato in modo deciso una pietra miliare nella storia del jazz, il mood che possono evocare certi club come il Village Vanguard.
Francesco Patti (sax tenore), Andrea Domenici (piano), Giuseppe Cucchiara (contrabbasso) e Andrea Niccolai (batteria) danno vita a un lavoro chiaramente erede dell’hard bop degli anni ’60, con numerose virate al blues e con un senso dello swing leggero, elegante.
Importante è la partecipazione del chitarrista Peter Bernstein, maestro del proprio strumento, con un curriculum stellare di collaborazioni, che vanno da Sonny Rollins a Diana Krall, da Etta Jones a Lee Konitz, giusto per citarne alcuni.
L’evidente empatia che il gruppo ha con il celebre ospite è frutto di un’intesa sulle radici del patrimonio musicale in oggetto, proposto con brani di propria scrittura.
Il sax segue tracciati apparentemente semplici ma intensi, figli della sapienza di gente come Joe Henderson, il piano potrebbe ricordare il tocco moderno di Mehldau, la sezione ritmica richiama echi alla Patitucci, a proprio agio tra jazz classico e funk.
Il disco offre l’opportunità di ascoltare sonorità tradizionali senza sconfinare nel revival o, ancor meno, nella nostalgia del tempo che fu.
L’impianto è fluido ma non selvaggio, accogliente e non urticante. Le strutture, pur a chorus secondo una logica consolidata, offrono sezioni comunque corali, nelle quali il solista di turno spicca ma non domina, mantenendo una interazione compatta con il resto del gruppo; l’effetto è quello di un ensemble cameristico flessibile e non di una session con alternanze di voci monopolizzatrici. A tutti gli effetti “un sound in comune”, come esprime il titolo del lavoro.
Deck 5 rappresenta molto bene il senso del fraseggio (sia del sax, sia del piano) innestato su di una base bop che, ritmicamente, preferisce la scorrevolezza alla tribalità. Un’ottima sinergia tra eredità afro, contesto metropolitano e, perché no, un senso melodico tutto italiano. Un risultato che può convincere molti.
AstraZeneca è un altro episodio suggestivo, anche per il riferimento al vaccino anti Covid fonte di molte discussioni. Incipit blues piuttosto cupo che poi si sviluppa in una fase bop che ben evoca una certa tensione del tema: ottimismo, speranza, riflessione, concentrazione….proprio come accadeva a chi ricorreva alla cura in un contesto dichiaratamente non certo. Un bell’esempio di narrazione.
In un periodo in cui il jazz manifesta molte tendenze centrifughe questo disco appare quasi in controtendenza.
Solidamente ancorato alla lezione base del paradigma impro / blues / swing, riesce comunque a evitare il rischio della pagina ingiallita, risultando figlio del proprio tempo per la freschezza e la spontaneità dell’espressione.
Consigliato in generale ma, in modo particolare, a chi è interessato ad accostarsi al genere ricorrendo a una voce moderna, genesi di padri importanti dei quali ha fatta propria l’eredità.