The Wreckery Fake Is Forever
2024 - Gusstaff Records
Il suo primo progetto come lead singer vede la prima pubblicazione nel 1985. E ora, dopo le avventure sonore con True Spirit, Fatalists, Sepiatone, Dirtmusic, Long Distance Operators, Gemini 4, oppure col proprio solo nome di battesimo, magari insieme a Michelangelo Russo o – in un futuro che si spera prossimo – con Gianni Maroccolo, Race torna ad incidere con la sua prima band.
I membri originali ci sono. Gli anni sono passati. La prima cosa evidente è che, per Fake Is Forever, non si tratta di un’operazione nostalgica. La seconda è che…del suono che sarebbe lecito attendersi dal nome della band, resta poco. Ma i Wreckery di oggi non sono quelli di allora. Neanche la voce lo è: questa maturità si mostra fin da subito magnificamente corposa, raffinata e di mestiere solidissimo. Forse più mestiere che pathos, si potrebbe dire, ma una traccia come Stole It From Alpha Ray non ha nulla da invidiare al compianto Mark Lanegan. Poi, è vero, a tratti pare di ascoltare i True Spirit, a tratti i Fatalists, ma ciò è inevitabile. Nondimeno, Barker e Clayton-Jones contribuiscono anche alla scrittura.
Manca l’abrasività noise e post punk degli esordi, ma l’inserimento del sax baritono porta tutto sul versante notturno dei Morphine. Non c’è nulla, va detto una volta per tutte, dei Bad Seeds a cui spesso, per una parentesi collaborativa, il nome di Race è associato. Piuttosto, in Evil Eye pare di sentire un omaggio al timbro chitarristico di Rowland Howard. Un uso straniante dell’elettronica rende ancora più ricco il paesaggio sonoro. Get A Name è desertica e un po’ morriconiana. Garbage Juice è maligna e quasi cabarettistica. La finale, torrenziale Young People è groovy e magmatica. A tratti pare di sentire Barry Adamson. Però la chitarra, satura il giusto, si permette poi un’improvvisazione quasi sciamanica.
I testi sono all’insegna di un saggio disincanto, di un non pacificato fatalismo, di una visione del passato che non fa sconti e una del futuro che pare nebulosa. “They say the future is here to stay but we’ll be dead soon anyway”. Ciò che resta è il presente, nel caso lo si possa cogliere. Ma, ci dice il titolo dell’album, c’è sempre la falsificazione. Ecco, il titolo merita una menzione d’onore.