live report
Eric Sardinas Pisogne (bs)
Concerto del 30/06/2002
30 GIUGNO 2002, PISOGNE (BS)
Da tempo il nome di Eric Sardinas circola di bocca in bocca, un po’ sottovoce, ma seguito da un’eco che si propaga anche a distanza, soprattutto in chi ha sentito il verbo del suo blues suonato dal vivo. Stasera la maggior parte del pubblico di Pisogne si aspetta un buon concerto, come deve essere uno spettacolo gratuito e all’aperto, ma non un’esibizione travolgente, capace di stravolgere la serata.
Eric arriva al Parco Comunale con lo sguardo corvino nascosto sotto la sua lunga chioma, un cappellaccio nero da cow boy e pantaloni luccicanti, tanto per dichiarare subito la sua dedizione assoluta al blues. Si comincia con uno strumentale a colpi di slide, sostenuto dal basso di Paul Loranger e dalla batteria di Scott Palacios. I primi quattro pezzi sono uno sfogo da vero power trio, che Eric fa impennare con voce rauca e con sorprendente furore chitarristico. Questo scarno ragazzone della Florida, ormai di casa a Los Angeles, prende per i capelli il blues delle origini alla (Ellmore James, Howlin’ Wolf, Bukka White, Otis Rush, Willie Dixon) per spezzarlo ulteriormente con dei riff costruiti a colpi di slide, con delle furibonde scale apparentemente storte, efficacissime nell’incendiare le classiche battute.
Quando impugna il dobro, Eric si dimostra altrettanto ispirato: tira le note in un break che lascia sospesa la tensione fino ad una successiva devastante accelerazione.
Boogie, rockabilly, southern rock e anche qualche passaggio countreggiante vengono innescati in questo cortocircuito elettrico che arriva a sprizzare scintille ovunque con “I can’t be satisfied” e “Get along rider”. Eric si rivolge verso l’ampli, cerca di aumentare ulteriormente i volumi, accenna qualche mossa strisciando gli stivali, come per divincolarsi tra le sue stesse note. Ci sta anche una ballata, praticamente strumentale, e l’ennesima variazione di “Hoochie coochie man”. Man mano il concerto avanza, Eric si lascia sempre più pervadere dalla forza della musica: suona sopra e sotto il manico, e, dopo aver lasciato la scena ai due compagni, rientra a dorso nudo, sale tra il pubblico sulle gradinate, accenna ad “Hideaway” e rimane a cantare senza microfono.
“Come on in my kitchen” di Robert Johnson, eseguita da solo, lo lascia poi preda dei fantasmi del blues elettrico: così si trova “costretto” ad afferrare una bottiglia di birra e a suonarla slide fino a far schizzare evidenti richiami sessuali. Poi, non ancora soddisfatto, appicca un fuoco su cui sdraia la chitarra: tanta scena manda in delirio il pubblico che lo richiama per il bis di “Treat me right”, percossa contro l’asta del microfono.
Alla fine, l’odore della benzina e il tremolio dell’elettricità riempiono ancora il piccolo parco. Eric Sardinas è in ogni senso una nuova iniezione di vitalità per il blues: rimango convinto che il suo talento emerge appieno quando non si fa trascinare da pose istrioniche, ma anche queste hanno reso la serata a dir poco corroborante.
Se per qualcuno il blues ha bisogno di un rito che lo porti a nuova vita, sappia che c’è in giro un sacerdote che ne predica la resurrezione.