Niccolò Fabi

live report

Niccolò Fabi Teatro Petruzzelli, Bari

27/12/2016 di Ambrosia J. S. Imbornone

Concerto del 27/12/2016

#Niccolò Fabi#Italiana#Canzone d`autore

Suonare in un teatro come il Petruzzelli di Bari, che dovrebbe essere ancora il quarto teatro d’Italia, deve fare il suo effetto: tipico teatro italiano di fine Ottocento, tra decorazioni dorate, poltroncine e tappezzeria rosse, e una capienza straordinaria per l’epoca dell’inaugurazione, il 1903, poi ridotta per motivi di sicurezza, abbraccia sfavillante e maestoso un ampio palco. Niccolò Fabi aveva ritirato qui la Targa Tenco per il miglior album dell’anno nel 2013, assegnata ad Ecco: vi torna per il suo primo concerto completo per l’album seguente (se non contiamo il disco e il relativo album live con gli amici Gazzé e Silvestri), Una somma di piccole cose, anch’esso premiato con la Targa Tenco per il miglior album (del 2016) e portato di recente anche su alcuni palchi europei.

La tappa è sold-out, Fabi è febbricitante, ma anche felice di esibirsi nel teatro barese e il concerto non ne risente: il cantautore si ferma pochissimo prima dell’encore, ma durante il set dà un momento di pausa solo all’ottima band, quella del cantautore torinese Alberto Bianco, composta dai polistrumentisti Damir Nefat, Filippo Cornaglia e Matteo Giai. I musicisti, tutti giovani, saranno autori di una performance notevole e lasceranno il palco per alcuni minuti quando Fabi resterà solo al piano. Ma andiamo per ordine.

Dal vivo ogni nota appare necessaria: dai riff alla chitarra slide di Evaporare (da Novo mesto, 2006), dall’ottimo basso di Elementare (da Ecco) ai crescendo finali di questo e di altri pezzi in scaletta, dai synth che punteggiano Non vale più ai tocchi di glockenspiel. Oriente (ancora da Novo mesto) ha un piglio rock coinvolgente, Le chiavi di casa con il suo occhio paterno acquista punti live, mentre l’ironica ed efficacissima Io (dedicata all’ “egomania” di chi si mette al centro di ogni discorso, recitando spesso anche la parte della vittima e dell’incompreso, ecc.) si fonde con la hit Vento d’estate, prendendo un gradevole passo reggae, che rammenta l’antico amore degli esordi per i Police.

I brani prendono forza, sollevandosi come il vento che agita i cumuli di memoria in Filosofia agricola: spirano con un impeto interiore, che è frutto di un sentire tutt’altro che comune. Fabi porta la bellezza essenziale e pregnante del folk internazionale nella canzone italiana, associandola ad un’impronta cantautorale che mostra una profondità rara di sguardo e penna: trasforma anche dal vivo le fragilità in armonia musicale e interiore e racchiude in una dimensione pienamente umana, quella che rimpiange “onore e dignità, misura e sobrietà” (il piccolo capolavoro Una buona idea), le “scelte sbagliate” (Una somma di piccole cose), il tempo sprecato, le paure, la solitudine, “amara beatitudine” e “necessaria come un vizio” (Evaporare), il desiderio di scomparire “quando quello che ho davanti non mi piace, non è giusto o semplicemente mi fa star male”, che torna nel delicato e toccante gioco infantile di Facciamo finta, le ferite, gli inciampi di chi “sbaglia e non si perdona” (Solo un uomo, dall’album omonimo del 2009). Come nessuno Fabi ci ha raccontato infatti in questo disco che anche l’amore maturo non è figlio della perfezione, a cui insegnava a rinunciare in Costruire, ma implica resistere alle burrasche, fingere di non vedere gli errori, amare difetti e debolezze; non è “più baci sotto il portone / non è più l’estasi del primo giorno / è una mano sugli occhi prima del sonno” (Una mano sugli occhi). Fabi ammette che fa uno strano effetto cantare su un grande palco una canzone così intima, una delle poche canzoni davvero d’amore che abbia mai scritto, è quasi una violenza, ma l’intimità non è un posto, ma un linguaggio e dal vivo riconosce come acquisti intensità (la parola gli è suggerita anche dal breve pianto di un bambino presente in sala, un singulto di vita che ne ricorda il palpitante, tangibile vigore). Contraltare della solidità di un amore trasformato in tenerezza e reciproco sostegno è il brano complementare prescelto come quello successivo nella tracklist ed eseguito voce e piano, Mimosa (da La cura del tempo), che canta la banalità dell’addio, il rancore e il dolore che semina nella protagonista: il ritornello in punta di piedi sembra accarezzarla, mentre il sonno le regala un po’ di serenità e ne ricompone la figura in un’immagine piena di grazia.

Fabi insegna d’altronde a ridimensionare in qualche modo anche le sconfitte, proponendo un’etica differente da quella spesso imperante, ricordandoci che “la terra che ci ospita comunque è l’ultima a decidere” (Filosofia agricola) e ne siamo “abitanti solamente” (Oriente), e che bisogna lasciare andare il destino, distendere le vene, sentire meno il peso delle aspettative, perché in fondo Vince chi molla, da cui si riparte nell’encore. C’è tempo però anche per brani dal mood diverso e così Fabi lascia spazio alla voce di Bianco, accompagnandolo alla chitarra nella sua Filo d’erba, ma fa posto in scaletta anche alla vivace Lontano da me (da Ecco).

D’altra parte il concerto offre agli spettatori ritmi e atmosfere differenti: si balla sulle note di Lasciarsi un giorno a Roma, che Niccolò portò al Festival di Sanremo nel 1998 e durante la quale il cantautore invita gli spettatori ad alzarsi, superando le rigide distinzioni tra gli spettatori di un concerto con i posti numerati (c’è da dire che spesso i più coinvolti e affezionati spettatori sembrano quelli dei palchi o della galleria, che cantano o dialogano a distanza con Fabi). Quanto ai temi, non mancano pezzi con riflessioni dal respiro più sociale come quelle della coinvolgente Ha perso la città o di Non vale più (“Ma le grandi rivoluzioni fanno molta paura / come molta paura fa fare grandi rivoluzioni / guerrieri sacerdoti operai / in fila per prendere il pane / in fila a chiedere il pane”).

Quell’equilibrio e quell'armonia presenti nelle canzoni di Fabi a cui accennavamo poc’anzi, tra piccole felicità e timori, pazienti costruzioni e fallimenti, creano in concerto un incantesimo rassicurante: non è evasione dal reale, ma fanno sembrare la realtà più tollerabile, gli errori più naturali, la fiducia negli affetti, nella comunione di anime belle che ascoltano quelle note, ti appare più tangibile…e da quell’incanto è difficile uscire.

Una nota di merito va a ciò che contribuisce a plasmare questa magia intessuta come fili fosforescenti e colorati tra palco e spettatori, ovvero le luci, come quelle strobo bianche che sottolineano uno dei tanti finali preziosi e intensi, quello della meravigliosa Una mano sugli occhi, e seminano un candido stupore come una pioggia di gocce di luce, quelle piccole come lampioncini eleganti/fiori di campo o quelle grandi, gialle e rotonde montate su dei supporti che somigliano a dei ventilatori e si alternano come occhi che si aprono e si chiudono. Non c’è niente di pomposo, ma tante soluzioni minimali che si rivelano più che suggestive, compresa la scenografia, che sembra un lenzuolo, accoglie i fari colorati e sembra ospitare gli astanti in un clima familiare e quotidiano.
Il concerto è l’ennesima dimostrazione di una sensibilità rara (Fabi sa presentarsi con semplicità e umiltà e incoraggia, lontano dal microfono, anche Bianco prima del suo pezzo) e della compattezza ricca di talento della nuova band.


Le prossime date del tour:

28 dicembre, Cosenza (Teatro Rendano, sold out)

20 gennaio, Mestre (Teatro Corso)

21 gennaio, Forlì (Teatro Fabbri, sold out)

29 gennaio, Parma (Teatro Regio)

3 febbraio, Bergamo (Teatro Creberg)

4 febbraio, La Spezia (Teatro Civico)

8 febbraio, Aosta (Teatro Splendor)

10 febbraio, Cagliari (Auditorium del Conservatorio)

11 febbraio, Sassari (Teatro Comunale)

15 febbraio, Genova (Teatro Politeama)

16 febbraio, Biella (Teatro Odeon)

24 febbraio, San Benedetto del Tronto (Palariviera)

25 febbraio, Potenza (Teatro Don Bosco)

27 febbraio, Catania (Teatro Metropolitan)