Bettye Lavette

live report

Bettye Lavette Milano / Ble Note

27/03/2017 di Giovanni Sottosanti

Concerto del 27/03/2017

#Bettye Lavette#Jazz Blues Black#Blues

Basterebbe l'aggettivo SUBLIME per definire il concerto che Bettye LaVette ha tenuto ieri sera al Blue Note di Milano. Qualche ruga in più sul viso a denunciare i 71 anni compiuti da due mesi, un fisico comunque invidiabile, ma soprattutto una voce che stupisce e incanta una volta di più, commuove e trascina il numeroso e attento pubblico in sala, fatta eccezione per il solito, immancabile gruppo di rompicoglioni da concerto, dediti tranquillamente e rumorosamente a disquisire dei cavoli loro.

Un'ora e mezzo di classe infinita, la capacità di incatenare il pubblico alle sedie e tenerlo appeso al microfono, anima e cuore catapultati in Paradiso per un viaggio di sola andata. Una voce che graffia e accarezza al tempo stesso, passando e spaziando senza difficoltà alcuna dal rock, al blues, al soul, al r&b, al funk, al gospel, in ogni brano un'impronta indelebile a trasformarli in qualcosa di proprio, unico e irripetibile.

Decide di partire forte la Signora del Soul e The Stealer dei Free non è affatto un brano qualsiasi né una scelta scontata, tira la band, si scalda il motore perché anche Take Me As I Am e When I Was A Young Girl, cover dei Savoy Brown, non scherzano affatto, ritmo sostenuto e Bettye che divora palco e microfono. Isn't It A Pity trascina George Harrison e il pubblico in un gospel celestiale, intimo e struggente, quasi sussurrato. Dopo aver ascoltato la versione della Tedeschi Trucks Band, è curioso annotare come, a distanza di dieci giorni esatti, la stessa cover trovi spazio in due versioni, in due contesti e cantata da due voci completamente differenti.

Con Joy si torna in territori marcatamente rock, la voce sale di tono, diventa potente, vibrante, la band rockka e rolla, Lucinda Williams applaude da qualche parte nei dintorni di Lake Charles. Almost ci riporta  dritta negli anni '60 e nell'epoca più soul e r&b di Bettye, come del resto Your Time To Cry di Joe Simon. Dal repertorio dei Moody Blues splende una Nights In White Satin di intensità clamorosa. Dopo The Last Time è il momento di Ray Charles e della sua They Call It Love, ennesima performance da ricordare in una serata senza cali di tensioni, in cui la punta di massima emozione è raggiunta da Love, Reign O'er Me, chiude gli occhi e sogna Bettye e con lei tutto il pubblico, trattiene il fiato per poi esplodere in una lunga ovazione. I bis si aprono con Close As I'll Ever Get To Heaven, su Sleep To Dream si congeda la band, resta Bettye da sola sul palco, I Do Not Want What I Haven't Got di Sinead O'Connor in struggente versione a cappella vola nell'olimpo delle emozioni e mette il punto esclamativo ad una serata stellare.

  Foto di: Riccardo Santangelo