Garland Jeffreys

live report

Garland Jeffreys Vicenza / Retrò

25/06/2017 di Giovanni Sottosanti

Concerto del 25/06/2017

#Garland Jeffreys#Jazz Blues Black#Blues

Provate a fermarlo, se ci riuscite, mi riferisco a quell'uomo basso e un po'curvo, che cammina anche un po'sbilenco, fermatelo e chiedetegli la carta d'identità. A quel punto resterete senza fiato, perché i casi sono due: o si tratta di uno scherzo, oppure Garland Jeffreys from Brooklyn, origini metà afroamericane e metà portoricane, ha davvero stipulato il patto con il diavolo. Un personaggio che sembra fuoriuscito da Scarface, una simpatia straripante e un calore umano fuori dal comune che sul palco si tramutano in una devastante macchina da rock'n'roll, come raramente capita di vedere.

Per l'unica data in Italia full band al Retrò di Vicenza, Garland chiama a raccolta tutti i Wild In The Streets desiderosi dell'ennesima redenzione a base di rock'n'roll ed emozioni forti, una volta a bordo si parte per un fantastico viaggio a ritroso nel tempo, destinazione la New York degli anni '70. Purtroppo stasera il locale vicentino non registra il pienone che l'evento meriterebbe, poco importa perché lui suona e canta come fosse l'ultimo giorno della sua vita, le assi del Retrò come il CBGB per un suono pieno, potente, arioso, compatto, rock urbano vero, sporco e cattivo, ma anche blues, reggae e ballate da songwriter sopraffino.

Ci sono tutti gli ingredienti migliori e Coney Island Winter apre la serata senza tanti fronzoli, secca e diretta, 'Til John Lee Hooker Calls sposta il tiro su un boogie blues scuro e crudo, entrambi i brani provengono da The King Of In Between, disco che nel 2011 segnò il suo grande ritorno sulle scene dopo 14 anni di silenzio discografico. Venus è invece un rock tagliente estratto dall'ultima fatica discografica, 14 Steps To Harlem, da cui proviene anche la splendida Reggae On Broadway. Inevitabile il gioco di rimando e di influenze che emergono con il progredire del concerto, odori e colori speziati, tra Portorican Jane e Spanish Stroll, il lato selvaggio della strada battuto da Lou Reed e David Johansen con le sue bambole, il Greenwich di Dylan, il Beggars Banquet degli Stones, la carica espressiva e trascinante di Bruce, il reggae di Marley. Ci sono anche i Beatles in un'intensa e suggestiva versione di Help!, mentre gli Stones più veraci risuonano nella tirata e vibrante R. O. C. K.

Con She Belongs To Me scende in campo il Dylan di Bringing It All Back Home, omaggiato con grande rispetto e devozione. Non risparmia una goccia di sudore il buon Garland e con lui tutta la band, meccanismi ben oliati e rodati, altrimenti I'm Waiting For The Man non avrebbe quel tiro devastante, a metà strada tra Exile On Main Street e Rock'n'Roll Animal. Dal primo disco omonimo del 1973 ecco una splendida Harlem Bound, dall'ultimo invece arriva When You Call My Name, ma è con New York Skyline che si vive uno dei momenti magici della serata, con vette di lirismo e poesia urbana che inevitabilmente rimandano a New York City Serenade e New York State Of Mind. Torna il reggae in Ghost Rider mentre Matador ha Mink DeVille nel cuore, 96 Tears va come un treno e Wild In The Streets suggella come meglio non potrebbe un concerto fenomenale, riff assassino, ritmo trascinante, tutti sotto al palco. Il saluto finale è con Garland da solo sul palco per una struggente rendition a cappella di Moonshine In The Cornfield, meravigliosa gospel song che apriva il capolavoro Don't Call Me Buckwheat del 1991, fiato sospeso, cuore in gola, parte  Moonshine in the cornfield,  recita “Yonder  see the wonder wheel  Cyclone's in the distance  Fore I reach eternal sleep  Sister like a candle  Pictures on the mantel  Full of human kindness  Painted in a masterpiece”. Amen!