
live report
Frank London & The Glass House Orchestra Aperitivo In Concerto - Teatro Manzoni
Concerto del 24/01/2016
#Frank London & The Glass House Orchestra#Jazz Blues Black#Jazz Jewish, Klezmer, Hungarian
Ed è con lo strumento più tipico della musica Ungherese che inizia il concerto. Milklòs Lukas scandisce veloce il riff di Furfangos Frigyes con il suo Cimbalom (che potete vedere nelle veramente splendide foto di Giovanni Daniotti) e dopo quattro battute la band macina ritmo e riff senza nessun timore. I due violini e i fiati riempiono di suono il teatro mentre basso, batteria e chitarra (la parte più newyorchese dell’ottetto) scandiscono i tempi con le giuste e contagianti geometrie. Non sono passati che un paio di minuti e la musica già vola alta con i primi veloci break della tromba di London e con la sorpresa della splendida voce della violinista Edina Szirtes Mokus, anche compositrice del brano, che si esibisce in un solo da brividi in cui mescola sapientemente suggestioni popolari, colte e improvvisazione. È quindi la volta di una suite di sei brani provenienti dall’Ungheria e dai suoi dintorni: musica ebraica, musica Gipsy, musica religiosa e da festa. Si parte con l’intenso tema religioso del Sabato ebraico - esposto ancora dalla calda voce della Mokus, che verso la fine della suite si esibirà anche in alcuni sovracuti incredibili - contrappuntato da Bela Agoston che, col suo clarinetto, ricerca flautofonie che lasciano meravigliati. Di tema in tema si passa dall’unisono dei tremolanti violini tzigani della Mokus e di Jake Shulman-Ment e ad un tema popolare esposto dalla squillante tromba di London che sembra rimandare alle prime battute de l’Internazionale. Via via il rimo aumenta e, finalmente, si riesce ad udire la chitarra di uno dei più interessanti strumentisti della sua generazione: l’armeno newyorchese Aram Bajakian. Purtroppo il suono del pirotecnico chitarrista viene penalizzato da un mix che, come ogni tanto capita qui al Manzoni, pur donando agli strumenti dei bei suoni non sembra sempre essere altrettanto attento agli equilibri del suono d’insieme. Il concerto prosegue con una scaletta a volte bizzarra, capace di mettere in sequenza diretta un condensato dell’operetta dei primi del ‘900 La Principessa Della Czarda e la preghiera ebraica per i defunti Kel Maleh Rachamim (la Preghiera per la Misericordia e la Compassione che assume qui significati ancora più intensi pensando alla moltitudine dei piccoli cantori ebrei che prima della guerra la eseguivano e che finirono sterminati nei campi di concentramento nazisti). In ogni occasione l’orchestra trova una misura interpretativa propria: che si tratti di viaggiare sopra le righe della partitura, oppure in una lettura rispettosa della tradizione. Il resto del concerto prosegue così: alternando e mischiando stili e approcci, passando con nonchalance da andature (quasi) ska/punk a fraseggi più colti e delicati.
London si dimostra sempre di più, oltre che uno splendido strumentista, anche un uomo con un naturale e contagioso senso dello spettacolo musicale. Nulla di particolarmente eclatante, ma una sempre più raffinata capacità di gestire il suono delle sue band anche nei momenti in cui tutto sembrerebbe poter sfuggire di mano. A tutto ciò il leader unisce una capacità di pensare nuovi progetti partendo dalla matrice di una musica, quella ebraica, sempre rivista con occhi appassionati, meticciati e curiosi. Certo l’effetto novità di queste musiche potrebbe dirsi ormai scemato, ma, anche in questo caso, le capacità strumentali dei musicisti fanno la differenza e il pubblico del Manzoni gradisce!
Foto di: Giovanni Daniotti