Ben Harper & Charlie Musselwhite

live report

Ben Harper & Charlie Musselwhite Milano / Fabrique

23/04/2018 di Giovanni Sottosanti

Concerto del 23/04/2018

#Ben Harper & Charlie Musselwhite#Jazz Blues Black#Blues

L'estate ruba il tempo alla primavera, in una serata di fine aprile che fa il verso a giugno inoltrato. Arrivi al Fabrique senza fatica, traffico zero, "lontane sono le torri di Milano" (cit.). C'è tutto il tempo per un sanissimo panino con hamburger e impiastricciamenti vari, una birra e saluti con amici di varia provenienza.

L'uomo del Mississippi, è Charlie Musselwhite,  sorride sotto i baffi, furbo e sornione, pare uscito da un film di Sergio Leone, tra polvere, stivali, armonica e pistole. Non sembra, ma stasera è lui quello che comanda la banda. Non parla, non è una star, bastano uno sguardo e un soffio di armonica. Il giovane, Ben Harper, viene da Claremont, nell'Inland Empire in California. Lui è una star, ma stasera la star resta in camerino. Sul palco sale il ragazzo di origini afroamericane assetato di blues, il blues quello vero, sporco e sincero. Lui porta in dono la sua anima black & soul e un cantato vibrante, vigoroso e suadente al tempo stesso. Un binomio curioso, anomalo, ma assolutamente e perfettamente complementare. Get Up! segnò nel 2013 l'inizio di un percorso comune, consolidato poi dal recente No Mercy In This Land.

E il concerto parte proprio illustrandoci l'ultimo capitolo della saga, When I Go ha un intro gospel per poi aprirsi al blues, Bad Habits parte con il ritmo di un treno in corsa, soffia l'armonica di Charlie, la band lo segue compatta e precisa. The Blues Overtook è tutta di Charlie e guai a chi gliela tocca, tratta dal suo album Ace Of Harps del 1993. La voce prende il posto dell'armonica e il Fabrique resta attonito in religioso silenzio, Chicago blues di origine controllata. Hai capito il buon vecchio Charlie! Love And Trust entra in un saloon buio e polveroso, Ben suona la lap steel seduto a ciondoloni su una sedia mal messa, il vecchio Charlie sorseggia un whiskey e soffia, soffia, soffia! E allora vai con I Ride At Dawn, blues ipnotico e cupo, la voce di Ben Harper si inerpica per scale soul che avvinghiano l'anima, poi Get Up! canto di rabbia e ribellione "I have a right to get up, when I please".

Con I Don't Believe A Word You Say entra in gioco il Ben Harper più rock e psichedelico, il brano è di gran presa e preceduto da polemici riferimenti a Donald Trump, definito "Soon to be ex President of the United States". Con Movin' On e I'm In I'm Out And I'm Gone torna in circolo il blues più classico, quello che strizza l'occhiolino a John Lee Hooker e Muddy Waters. Nothing At All profuma di juke joint e blues rurale, campi di cotone e canti gospel, Trust You To Dig My Grave torna sulla strada, perché il viaggio prosegue, ormai ci sei dentro, devi solo chiudere gli occhi e lasciarti guidare. Found The One torna a strapparti l'anima in un'oasi incantata di gospel soul, per poi lasciarla andare sulle strada maestra del blues, I'm Going Home, la palla ripassa a Charlie in un nuovo tripudio di voce e armonica.

 Il Ben Harper più rock di Blood Side Out continua ad alternarsi con il suo gemello gospel soul, per aggiungere un altro frammento di magia quando intona When Love Is Not Enough, intensa e malinconica ballad pianistica. Torna poi a spazzolare la slide per una scintillante When The Levee Breaks, brano originariamente scritto da Memphis Minnie & Kansas Joy McCoy e portato al successo dai Led Zeppelin. I bis si aprono con il blues sghembo e ciondolante, disperato e polveroso di No Mercy In This Land, Non c'è nessuna pietà in questa terra? Non ci sono risposte facili e allora, a volte, la soluzione è quella più facile ma dannosa, The Bottle Wins Again dice tutto in un rock blues cupo e teso.

Vai Charlie, tocca di nuovo a te, I love Clarksdale è scritto sulla cassetta da cui estrai le tue armoniche come conigli dal cilindro, mentre quella voce potente e nera con cui attacchi Long Legged Woman non so proprio da dove la tiri fuori. Siamo veramente alla fine, c'è ancora spazio per una Yer Blues dei Beatles quanto mai acida e lisergica, prima del finale a cappella con la struggente preghiera di All That Matters Now, nel quasi silenzio generale Ben Harper si stacca dal palco e urla con voce nera e strappata la semplicità e la vulnerabilità di un uomo alla continua ricerca di risposte. Un'armonica suggella il tutto e lo consegna all'eternità.

Il vecchio sorride di nuovo sotto i baffi, lui è uno che ha capito, il blues è la risposta che cercavi. I can't get well There's no cure for life Let me down easy At least tonight We're together And that's all that Matters now.

Foto di: Andrea Casella e Giovanni Sottosanti