Vinicio Capossela

live report

Vinicio Capossela Teatro Apollonio Varese

23/03/2017 di Laura Bianchi

Concerto del 23/03/2017

#Vinicio Capossela#Italiana#Canzone d`autore

"So bene che i biglietti per i concerti costano...ma sempre meno di una seduta psicoanalitica...e credo che stasera ne abbiamo fatta una molto efficace..."

Cominciamo da qui: dal saluto di Vinicio Capossela al pubblico che affolla il Teatro di Varese, al termine delle due ore di concerto dedicato a OMBRA. CANZONI DELLA CUPA E ALTRI SPAVENTI. Dal suo sguardo ispirato e riconoscente, specchio di quello degli spettatori - complici di una macchina teatrale complessa e coinvolgente, che lascia disvelare la propria intima essenza lentamente, in tutta la sua poliedrica e affascinante intensità.

Le canzoni della Cupa dedicate all'Ombra, tratte dal doppio disco del 2016, sono proposte con una veste musicale impeccabile, grazie a musicisti di grande spessore, polistrumentisti e virtuosi, che chiamare band è riduttivo, e a un suono che vince la sfida con l'acustica notoriamente proibitiva del teatro varesino. Ma le suggestioni, in un concerto di Capossela, non sono mai unicamente sonore: da anni l'artista persegue l'intento di creare spettacoli unici, che coniugano musica e visioni, letteratura e antropologia, arte a tutto tondo e sciamanesimo, colori e calore. Quindi, via libera a luci colorate, travestimenti e copricapi immaginifici, coriandoli brillanti, silhouettes di ombre proiettate sul fondale che evocano le storie cantate (come nell'emozionante Il lutto della sposa, sulla nostalgia per la perdita del passato) e su un sottile velo, che separa i musicisti dal pubblico, e che cade alla fine dello spettacolo, rompendo la magia, ma, forse, costituendone un'altra, più duratura e pervasiva, che accompagna gli spettatori anche nel ricordo.

Sud Italia e Nord Europa, tradizioni cristiane e pagane, canzoni introspettive (le sempre attuali Fatalità e Parla piano), biografie di grandi artisti (il graditissimo ritorno di Modì) e miti omerici (un'indimenticabile Le Sirene, in cui il velo diviene un cielo trafitto di stelle), rebetiko, tex mex e taranta (Scivola vai via, Il Treno, e una liberatoria Il ballo di San Vito), colori rock ed elettrici (Brucia Troia o Maraja), si snodano davanti al pubblico senza soluzione di continuità, legate dal filo tenace dell'indagine sull'ombra e sul suo senso, in un'esperienza collettiva e individuale insieme.

E, sì, è una seduta psicoanalitica, quella offerta da Capossela, la cui musica eclettica, la vocalità smagliante e la prorompente fisicità coinvolgono e guidano gli spett-attori di un rito collettivo, che è poi il nostro vivere, perennemente sospesi fra la ricerca della luce e l'adorazione dell'ombra, che da questa nasce. Più forte la luce, più cupa l’ombra: la frase di Goethe, citata a inizio spettacolo, assume così una valenza ancora più densa, e resta dentro di noi, a risplendere ancora a lungo.